Frank Zappa e Steve Vai: entrambi di origini italiane. Il primo da Partinico, provincia di Palermo. Il secondo dalla Lomellina, provincia di Pavia. Ed entrambi capaci di imprimere un marchio inconfondibile al modo di suonare la sei corde.

© Eddie Berman c.c. Wikimedia

Frank Zappa e le “sculture d’aria” 

L’immensa produzione discografica di Frank Zappa è stata il frutto di una necessità creativa senza limiti, restituita anche drammaticamente dal docufilm Zappa uscito qualche anno fa curato dal regista Alex Winter. 

Frank scriveva sempre, la sua mente generava di continuo idee musicali, al limite dell’ossessione. 

Impossibile poter afferrare una volta per tutte una personalità tanto iconoclasta, sfuggente, provocatoria e piena di sfaccettature.

Al di là delle sue indiscutibili doti compositive, uno degli elementi che mi ha sempre affascinato, e che ritengo sia spesso sottovalutato, è il modo di suonare di Zappa. In particolare, il suo stile improvvisativo alla chitarra, il sound che nasceva dalle sue dita e i suoi assoli così pieni, densi, solidi.

Nella sua biografia sul genio di Baltimora, Barry Miles racconta che, ai funerali della nonna, Frank bambino era rimasto affascinato dal modo in cui l’aria all’interno della chiesa faceva muovere e ondeggiare le fiamme delle candele. Qualche anno più tardi, lo stesso Zappa avrebbe iniziato a concepire i suoi assoli proprio come “sculture d’aria”. 

Un’immagine apparentemente contraddittoria ma che contiene due elementi chiave per provare a sondare lo sconfinato mondo zappiano: la solidità di una struttura materica e insieme la potenza di un’onda che fende e seziona l’aria. Questo era il suo approccio agli assoli.

Le composizioni per chitarra

Le sue impressionanti composizioni alla chitarra nascevano sul momento ed esprimevano una delle parti più libere del suo talento musicale. Lo stesso Zappa ha raccontato durante un’intervista a Guitar Player che per lui era molto più congeniale suonare assoli dal vivo, sul palco, piuttosto che in studio, anche a causa degli alti costi che comportava affittarne uno per registrare. 

Durante i concerti, suonare, improvvisare e comporre diventavano così un unico atto creativo. E la chitarra lo strumento per realizzarlo. 

«A ogni concerto non vedo l’ora di salire sul palco, perché so che suonerò almeno otto assoli, e posso avere otto possibilità di decorare la tela di quel preciso momento», ha detto Zappa, prima di aggiungere: 

«Se quello che suono venisse trascritto istantaneamente, mentre lo suono, per me sarebbe un piacere firmare quegli spartiti, uguale al piacere che ho nel comporre a tavolino. Sono un compositore, solo che anziché una penna uso una chitarra»

B. Miles, Frank Zappa, Feltrinelli, Milano 2021

Le trascrizioni di Steve

È l’ottobre 1980 quando la band di Zappa si appresta a partire per un nuovo tour invernale. Può contare su alcuni nuovi innesti, tra i quali un giovane chitarrista classe 1960, Steve Vai. Ha appena vent’anni e vent’anni lo separano da uno Zappa ormai affermato musicista e compositore che, alla soglia dei quaranta, ha già all’attivo una trentina di album. Tra questi, alcuni capolavori come Freak Out del 1966, Hot Rats del 1969, 200 Motels del 1971, Apostrophe (‘) del 1974, Zoot Allures del 1976 e Joe’s Garage del 1979.

L’anno prima il diciottenne Steve, che già aveva acquisito una notevole maestria alla chitarra anche grazie alle lezioni con Joe Satriani, si era iscritto al prestigioso Berklee College of Music, a Boston. Fu proprio in questo periodo che decise di cimentarsi in un’impresa decisamente ambiziosa: trascrivere una composizione di Frank Zappa, e nello specifico la suite strumentale The Black Page

Si tratta di un’opera molto complessa, per non dire un vero rompicapo: la prima parte per batteria, piena di tempi irregolari, la seconda anche per chitarra. Ma il giovane Steve non si diede per vinto e insistette finché non ne venne a capo. 

Eccone una versione di qualche anno fa, con Steve ospite sul palco del figlio di Frank, Dweezil, per il progetto Zappa plays Zappa.

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La trascrizione di questo brano rappresentò per il giovane Steve una sorta di biglietto da visita, inviato a Zappa insieme ad alcune demo. Poco tempo dopo, a seguito di un’audizione estenuante al termine della quale si era quasi arreso al fallimento, Vai fu assoldato nella nuova formazione e presto diventò «the italian virtuoso», come inizierà a chiamarlo Zappa. 

Zitto e suona

Colpito dalla sua maestria nella trascrizione il compositore di Baltimora, che si ispirava tra gli altri a Igor Stravinskij, decise di affidare a Steve anche altre trascrizioni dai suoi album, a cominciare dal più recente Joe’s Garage. Inoltre lo coinvolse in un progetto che aveva in mente di realizzare da tempo: un album composto esclusivamente dai suoi assoli di chitarra. 

Inizialmente lo concepì come un disco rivolto a quelli che considerava dei “feticisti”, tanto che ne organizzò la vendita solamente per posta, su ordinazione. Quando però venne messo in commercio nel maggio del 1981, il progetto Shut Up and Play Yer Guitar era nel frattempo diventato un triplo album, tanto era il materiale a disposizione. In poche settimane, le vendite pareggiarono i costi di produzione, con sorpresa dello stesso Frank. 

Tutte le tracce sono strumentali e provengono in gran parte da registrazioni di concerti, frutto di un lavoro di cernita minuzioso condotto nel suo home studio fra i numerosi nastri che aveva per le mani. Tra assoli e parti strumentali alla chitarra, il disco rappresentò la prova definitiva e schiacciante delle straordinarie abilità sperimentali e improvvisative di Zappa, uno che non ha mai temuto di mescolare generi e rischiare strade poco battute.

Un apprendistato impegnativo

Tra le curiosità della collaborazione Zappa-Vai merita citare ancora due episodi.

Il primo è il racconto che lo stesso Steve ha fatto del periodo in cui ha suonato in tournée con la band di Frank. Dal momento che la scaletta poteva cambiare ogni sera e i brani a cui attingere erano moltissimi, per non farsi trovare impreparato e guadagnare tempo Steve registrava le sue parti di chitarra su una cassetta e le ascoltava anche di notte, mentre dormiva. Una tecnica di memorizzazione e d’apprendimento che confidava sul potere inconscio della mente, ma a quanto pare molto efficace. Vai padroneggiò infatti in breve tempo il vasto repertorio zappiano, contando su una tecnica sopraffina e una memoria sorprendente. 

Il prezzo di tutto questo lavoro, però, fu un notevole accumulo di stress dal momento che la band sapeva cosa avrebbe suonato solo poco prima di salire sul palco. Zappa, infatti, era solito scegliere la set-list solo pochi minuti prima del concerto e teneva sulla corda tutti i suoi musicisti, talvolta componendo nuovi brani anche durante le prove.

Un apprendistato decisamente impegnativo per un ventenne come Steve, tanto coinvolgente sul piano tecnico e musicale quanto logorante su quello psicologico.

La cucina pericolosa

Prima di lasciare la formazione zappiana nel 1983 per dedicarsi a nuovi progetti e diventare uno dei chitarristi più influenti degli anni Ottanta e Novanta, Vai continuò a trascrivere materiale di e per Frank Zappa. Trascrisse anche un brano particolare. Un giorno, infatti, si cimentò con una parte vocale in cui Zappa alternava il cantato e il parlato, in un pezzo geniale e avanguardistico incentrato sulla sua nuova cucina.

The Dangerous Kitchen, che entrerà a far parte dell’album The Man from Utopia, è un altro brano rappresentativo del mondo zappiano, emblematico della capacità del chitarrista-compositore di prendere elementi minimi o episodi della più banale quotidianità e traslarli in metafore evocative della condizione generale dell’essere umano. Del resto, il suo sguardo sulla realtà era spesso quello di un giornalista-antropologo, capace di cogliere particolari e dettagli sorprendenti tra il comico e il grottesco.

The Guitar Book

Oggi, a pochi giorni dal sessantaquattresimo compleanno di Steve Vai, possiamo dire non solo che l’influenza di Zappa sul «virtuoso italiano» è stata decisiva e fertile anche dopo la sua uscita dalla band, ma anche che il suo straordinario lavoro di trascrizione continua a essere disponibile in un noto Guitar Book: una miniera di idee musicali e spunti per appassionati di Zappa e non solo.

Infine, per concludere questo breve omaggio a due grandi italo-americani innovatori della sei corde, torniamo a una loro esibizione in un’estate romana del 1982. Non un duello, ma un duetto di chitarre di rara potenza.

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