In questa nuova intervista abbiamo incontrato Luca Meneghello, un fuoriclasse della chitarra. Con lui abbiamo parlato tanto di musica, di linguaggio, di stile e di approccio allo strumento, oltre che della sua decennale collaborazione con Mina, una delle migliori artiste di sempre del nostro paese. Ci siamo dati appuntamento al World Music Studio di Pessano con Bornago. Ecco che cosa è uscito dalla nostra chiacchierata…

Planet Guitar: Ciao Luca e benvenuto su Planet Guitar! Raccontaci qual è stato l’episodio che ti ha portato a voler suonare la chitarra, la tua epifania…

Luca Meneghello: C’è stata la mia epifania, ma non è legata ad una canzone. Avevo un vicino che suonava la chitarra, aveva una vecchia Eko classica e quando lo vidi pensai che mi sarebbe piaciuto imparare suonare. Avevo 7 anni. Sono partito con questa illuminazione semplicemente guardando il mio vicino suonare.

Mio nonno mi regalò una Meazzi e iniziai con quella a metà degli anni ‘70; a quei tempi esisteva un corso di musica gratuito pomeridiano alla scuola elementare e così feci due anni di clarinetto, imparando a solfeggiare e costruendo le basi. Essendo già innamorato della chitarra la portavo al corso e chiedevo all’insegnante di spiegarmi come leggere la musica con la chitarra. Questi sono stati i miei primi passi nella musica.

Fondamentalmente il grosso del lavoro sulla chitarra l’ho fatto da solo; una volta appreso il solfeggio ritmico si è trattato solo di esercitarmi e imparare gli altri rudimenti dello strumento. Mi è sempre piaciuto solfeggiare e penso sia davvero importante, Ad un certo punto volevo trascrivere qualsiasi cosa sul pentagramma; mi è capitato di trascrivere le linee vocali dei Van Halen per esercitarmi e migliorare. 

Ancora oggi, quando devo tirare giù del repertorio per le serate, trascrivo tutto!

P.G.: Quando ti sei appassionato alla musica moderna? Da dove sei partito?

L.M. : Avevo un cugino più grande che ascoltava i Pink Floyd e quindi posso dire che loro sono stati il mio inizio. Appena presa la prima chitarra elettrica ho tirato giù Shine On You Crazy Diamond. In questo modo ho allenato molto anche l’orecchio; nota per nota, facendo avanti e indietro sul giradischi…alla vecchia insomma! Non essendoci il video non potevi nemmeno dire “Vediamo dove lo fa”…dovevi ascoltare e poi capire dove poter suonare quella parte.

Dopo Gilmour sono passato a Ritchie Blackmore e ai Deep Purple.

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Ulteriori informazioni

P.G.: Qual è stata la prima chitarra elettrica?

L.M. : Era una Melody, marchio che non so nemmeno se esista ancora! Una volgare imitazione della Fender Stratocaster…l’importante era la forma! Avevo 15, 16 anni…..

P.G.: Raccontaci del tuo percorso di studi, sappiamo che hai frequentato anche il CPM di Milano

L.M. : Sì! Allora c’era il Conservatorio di Musica dove si poteva studiare chitarra classica. I miei hanno provato ad iscrivermi, ma il problema dell’epoca era che la classe di chitarra era a numero chiuso. Quindi dovevi entrare e studiare che so…Oboe ad esempio e poi sperare che si liberasse qualche posto. Io non me la sono sentita di intraprendere un percorso classico e quindi mia madre, che cercava di scoprire se ci fossero altre strade, una sera venne a casa con un volantino del CPM. Era il 1984 e ho deciso di buttarmi lì perché era l’unica alternativa all’insegnamento classico.

Ho fatto un paio di anni lì con Giorgio Cocilovo e la mia formazione è maturata grazie ad un programma che prevedeva anche il Jazz. Da quel momento ho iniziato ad ascoltare anche cose non prettamente rock, come la fusion e il Jazz appunto. Mi ricordo di quando ascoltai Scott Henderson con Chick Corea…Scott mi aprì davvero le porte perché era un chitarrista che veniva dal rock ma non suonava solo quello; diciamo che gli orizzonti si aprirono più armoniosamente perché non è come passare dal rock ad ascoltare subito un chitarrista Jazz. La differenza di linguaggio sarebbe stata troppa. Ascoltando Henderson riconoscevo i miei ascolti di sempre ma potevo apprezzare anche cose che non conoscevo.

Comprai la sua videocassetta Jazz Improvisation dove lui spiegava il suo stile, come e cosa suonare su determinati accordi…la divorai!

P.G.: Quando puoi dire che sia iniziata davvero la tua carriera?

L.M. : Ci sono voluti anni per iniziare a raccogliere tutto il lavoro fatto. Parliamo della fine degli anni 90. Ho iniziato a suonare con Lisa Hunt, una delle coriste di Zucchero che faceva blues. Diciamo che da lì in poi ho potuto togliermi delle soddisfazioni, cosa che era tutt’altro che scontata. Come tutti i percorsi nella vita ti ritrovi a pensare se stai facendo o meno la cosa giusta, se è il caso di imboccare quella strada oppure no…ma alla fine la passione è sempre stata talmente forte che non ho mai mollato e ho sempre perseverato! A volte sembra quasi una maledizione!

P.G.: Sono d’accordo! Quando ci si muove nella musica non si sa mai da dove possano arrivare le occasioni di lavoro migliori…

L.M. : È vero! All’inizio prendi un po’ tutto perchè vuoi fare esperienza, poi piano piano cerchi di scremare. Secondo me le opportunità capitano un po’ a tutti, chiaramente se sei onesto con ciò che fai. La difficoltà vera è capire cosa vuoi fare tu davvero. Purtroppo è una cosa che ha bisogno di un po’ di tempo, di esperienze. Ci sono tante possibilità; vuoi accompagnare un artista, vuoi fare musica inedita, vuoi insegnare…ci si ritrova spesso a fare un po’ tutto ma è importante alla lunga capire chi sei e cosa ti interessa davvero.

P.G.: Questo è molto interessante perché concordo con il fatto che trovare la tua vera identità ti aiuta a fare delle scelte. Il problema è che ci vuole tempo!

L.M. : Ci vuole un sacco di tempo! È importante chiedersi “Chi sono? Cosa faccio bene?” 

Non è usuale farsi questa domanda e sovente ci si trova a fare delle cose nelle quali non ci si sente a proprio agio. Magari sei in un contesto meraviglioso ma capisci che non è la tua dimensione! Non parliamo poi del trovare il proprio stile! Ho ascoltato tantissima musica e ho provato a suonarne tanta…rock, fusion, jazz…mettere insieme i pezzi è complicato. Soprattutto parlando di rock e jazz; il rock ha un linguaggio istintivo fatto di ascolto e riproduzione. Il jazz ha le stesse caratteristiche ma ha anche una teoria molto vasta. Ecco perchè quando ho scoperto Scott Henderson è stata una rivelazione. 

P.G.: Una domanda a bruciapelo. Potendo scegliere preferiresti aver calcato il palco con i Pink Floyd a Venezia o aver suonato in un club di Manhattan con Miles Davis?

L.M. : Ostrega! [ride] Questa è una grossa domanda…forse scelgo il palco dei Pink Floyd, con tutto il rispetto per Miles Davis!

Dopo tanti anni sto capendo di voler tornare al mio linguaggio originale. Quello che hai ascoltato da giovane non lo puoi più togliere…comunque il jazz lo suono e vado avanti a studiarlo!

P.G.: Il Jazz è affascinante, richiede tanto studio, tanto tempo per assimilarne i concetti, i paradigmi…

L.M. : Il problema è che quando cerchi di riprodurre quel linguaggio e non è quello dal quale sei partito, farlo diventare davvero autentico è molto difficile. Ho riscontrato questa difficoltà, nonostante gli anni di studi. L’approccio, l’istinto…sono aspetti che prima o poi emergono e devi affrontarli, farli coesistere mentre costruisci il tuo stile.

P.G.: L’imprinting che si crea agli inizi del percorso musicale ti rimane addosso…è raro che uno che parte suonando Van Halen possa arrivare a padroneggiare lo stile di Barney Kessel.

L.M. : Il linguaggio musicale è fatto di qualcosa che trascende la teoria. Per quanto tu possa studiare poi devi essere convincente quando suoni…ed è lì che scopro che la mia base è rock e l’ho dovuto accettare! [ride]  

P.G.: Siamo alla fatidica domanda dell’ isola deserta! Quali sono gli strumenti che porteresti con te?

L.M. : La chitarra è quella che uso da tantissimo, una Gibson ES335 Studio. Non un chitarrone, ma a me piace, mi trovo bene e ci posso suonare un po’ di tutto.

Amplificatore un Fender Deville e il pedalino direi lo Zen Drive. Un pedalino molto bello, con tanta dinamica. 

Gibson ES-335 Dot Vintage Ebony

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Valutazione dei clienti:
(4)
Fender Hot Rod Deville 212 IV

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Lovepedal Hermida Zendrive

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P.G.: Che cosa ci puoi raccontare del presente e del prossimo futuro in ambito professionale?

L.M. : Sono arrivato ad un punto in cui capisco cosa mi piace fare e in cosa sono forte. Premesso che è sempre un lavoro, quindi non bisogna dimenticarsi che non si può sempre scegliere al 100%. Mi capita ad esempio di fare trasmissioni televisive tipo The Voice, quindi in un contesto puramente professionale; per fortuna spesso suono con amici e colleghi di vecchia data, ottimi musicisti con i quali è un piacere lavorare. Quindi da un lato punto ovviamente a portare avanti discorsi professionali di qualità, dall’altro sto cercando di mettere insieme tutti i pezzi del mio bagaglio chitarristico per continuare con un percorso di musica inedita che possa rappresentare sempre il mio momento attuale. Sto sempre cercando di trovare il connubio e l’equilibrio tra rock e jazz, tra le mie due anime. Cerco sempre nuovi stimoli, anche se andando avanti è sempre più difficile…

P.G.: Che musica stai ascoltando in questo periodo?

L.M. : Ho la mia riserva di CD in auto! Reparto Jazz da Miles Davis a Charlie Parker sempre in rotazione poi ho ad esempio Ok Computer dei Radiohead…in questo momento sto ascoltando un vecchio disco degli AC/DC. Ascolto di tutto…il jazz rimane sempre la musica che preferisco far andare perché mi da sempre elementi nuovi sotto l’aspetto improvvisativo.

P.G.: Avere un bagaglio jazzistico aiuta sicuramente anche in altri contesti…

L.M. : Assolutamente sì! Quando suoni rock impari istintivamente quello stile, ma se vuoi iniziare a lavorare su progressioni armoniche più complesse lo studio del Jazz diventa imprescindibile. Io ancora oggi mi esercito sugli standard ad esempio. Tutto questo non è per suonare Jazz, ma più per attingere e aprire la mente a livello di improvvisazione.

P.G.: Hai all’attivo tante collaborazioni, ma vorrei chiederti di parlarci della tua esperienza con Mina.

L.M. : Nel 2003 stavo collaborando con Nicolò Fragile che già lavorava come arrangiatore per Mina. Un giorno mi ha chiamato proponendomi una registrazione per lei. Fra le chitarre registrate c’è un solo al quale sono legato e che con gli anni mi ha portato fortuna. Su YouTube c’è la mia spiegazione, nel caso vogliate impararlo!

Da lì è diventata una collaborazione continuativa, fatta di tanti dischi e che mi ha permesso di arrivare ad un pubblico più ampio. La cosa davvero bella è che mi sono sempre potuto esprimere, anzi mi chiamarono proprio per il mio modo di suonare. Ho avuto la possibilità di registrare parti che mi rappresentano e di non snaturare la mia visione della chitarra.

In vent’anni ho registrato circa 14 dischi! Un lavoro davvero appagante sotto ogni punto di vista.

P.G.: Luca siamo arrivati alla fine di questa intervista. Grazie per aver condiviso con noi la tua storia e il tuo credo chitarristico. Speriamo di rivederci presto!

L.M. : Grazie a voi! A presto!

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Matteo Bidoglia