In ogni buona storia c’è un personaggio che assume il ruolo di mentore. In quella del blues inglese e non solo, nessuno ha saputo incarnarlo meglio di John Mayall. La notizia della scomparsa di John Mayall ha colpito moltissimi appassionati della musica e in particolare del blues britannico. Una vita straordinaria, la sua, che si è conclusa a novant’anni, la maggior parte dei quali trascorsi a suonare e cantare.

© CTK / Alamy Stock Photo

A me, in particolare, ha colpito molto una coincidenza temporale: quella del 22 luglio.

Mentre infatti le prime agenzie battevano la notizia della sua morte, in molti post via social si celebrava l’anniversario dell’uscita di un album fondamentale per molte generazioni di musicisti e appassionati: Blues Breakers – John Mayall with Eric Clapton. Una vera e propria pietra miliare, il cui sound avrebbe segnato una nuova era nel blues e nel rock.

John Mayall il mentore

John il mentore, dicevamo. Sì, perché la genesi stessa di questo disco affonda le sue radici in questo suo tratto umano prima ancora che nelle tecniche di esecuzione o negli arrangiamenti. Quando infatti John ospita a casa sua uno smarrito e deluso Clapton, che ha da poco lasciato gli Yardbirds, è già un padre di famiglia, vive a Lee Green e ha passato i trenta. È la primavera del 1965.

Accanto alla passione per il blues, che esprime insieme alla sua band, i Bluesbreakers, suonando nei locali londinesi come il Marquee, si guadagna da vivere facendo il grafico. In particolare, illustra libri di fantascienza e collabora con alcune agenzie pubblicitarie. È vegetariano, porta barba e capelli lunghi, non tocca alcool e può vantare una straordinaria collezione di dischi. 

A Clapton, di dodici anni più giovane di lui, riserva una piccola stanza all’ultimo piano. Qui, per un anno, Eric trae ispirazione ascoltando le rarità e gli album di riferimento del blues, affinando la tecnica alla chitarra e intuendo quale potrebbe essere la direzione giusta da seguire.

Chicago blues

I Bluesbreakers rappresentano la cornice ideale per un purista del blues come il giovane Clapton. John nutre non solo la sua stessa passione per questo genere, ma anche la medesima serietà nell’interpretarlo e suonarlo. L’idea del chitarrista di Ripley, però, è quella di portare la band in una nuova direzione: quella del blues di Chicago, i cui suoni duri ed elettrici rappresentano per lui un faro.

Mayall, che oltre a cantare suona piano, organo e chitarra ritmica, non solo accoglie Clapton nella band con entusiasmo ma lo esorta anche a seguire questa direzione, ad alimentarla ed esprimerla in quello che suona. Suonare, appunto. Perché questo interessa a John, la cui tabella di marcia è serratissima: serate su serate nei vari locali, a volte con set doppi. Per venticinque sterline fisse a settimana, Eric e compagni viaggiano per tutta l’Inghilterra a bordo del Ford Transit di Mayall.

I Glands e Peter Green

Una vita incredibile, che però sembra non bastare all’irrequieto Clapton che, sempre alla ricerca di esperienze senza troppa pressione, a metà estate 1965 decide di formare una band eccentrica insieme a un gruppo di amici. Con loro, ribattezzati i Glands, ha in programma di girare il mondo e suonare qua e là per finanziare quel progetto ardito: Francia, Belgio, Jugoslavia, Grecia…

John, d’improvviso, si ritrova senza il suo chitarrista di punta e per sostituire Eric chiama Peter Green. Almeno fino a ottobre, quando di ritorno da un’esperienza tragicomica ad Atene Clapton riprende il suo posto nei Bluesbreakers, che in quel momento sono impegnati in un tour nel sud dell’Inghilterra.

Lo storico 1966

John ha un tale occhio di riguardo verso Eric che non soltanto lo riaccoglie nella band, ma la primavera successiva organizza anche una festa in grande stile per il ventunesimo compleanno del suo chitarrista. Pochi giorno dopo, il gruppo entra in studio di registrazione: il repertorio rodato che suonano dal vivo merita di essere inciso su nastro.

Il risultato è quello che tutti conosciamo: un album incredibile per la sua potenza, aspro nei suoni, ruvido e graffiante come pochi all’epoca, soprattutto in Inghilterra: Blues Breakers – John Mayall with Eric Clapton. Con la chitarra di Eric che segna una nuova epoca, seguendo appunto l’intuizione di portare un bel po’ di Chicago blues nella band. Lo testimoniamo tracce diventate leggendarie come Double Crossing Time o Steppin’ Out.

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Ulteriori informazioni

Nessuno mai aveva tentato di emulare in studio il sound grezzo e saturo che si ottiene suonando dal vivo. Perfetta espressione dello spirito di quella band, immortalata nella foto di copertina poi passata allo storia per l’atteggiamento bizzarro di Clapton che, seduto affianco a John, legge un fumetto Beano per non farsi fotografare.

Immaginare il British Blues senza il “Beano album”? Impossibile, perché quel disco ha aperto una strada ben precisa. Una strada che, seguendo la sua irrequietezza, Clapton ha deciso di percorrere lasciando John e i Bluesbreakers poco dopo, mentre Mayall ha continuato sul solco tracciato restando sempre fedele a se stesso e accogliendo nella sua scuderia altri cavalli di razza della sei corde, a cominciare da Mick Taylor.

© Ian Burt, Link, CC BY 2.0

Il ricordo di Clapton

Nel ricordare il suo mentore, poche ore fa Eric Clapton ha usato parole toccanti che hanno fatto il giro del mondo. Cosa ne sarebbe stato di lui se John non gli avesse offerto l’opportunità di entrare nella band e suonare blues, proprio nel momento in cui, deluso e amareggiato dalla fine dell’esperienza con gli Yardbirds, meditava di farla finita con la musica? Mayall, riconosce Eric, «mi ha insegnato tutto quello che so e mi ha dato il coraggio e l’entusiasmo per esprimermi senza paura o senza limiti. Da lui ho imparato tutto». L’accoglienza paterna, umana prima ancora che musicale, che John Mayall gli ha dimostrato lo hanno salvato, ammette Clapton, ma soprattutto gli hanno trasmesso il desiderio di suonare esattamente la musica che amava suonare. 

Perché questo è la musica, in fondo: uno straordinario desiderio condiviso. Ed è proprio con questo desiderio che oggi, domani, ancora, ascolteremo la musica di John Mayall, non trovando modo migliore per dirgli grazie.

Alberto Rezzi