Il 19 luglio del 1947 nasceva a Twickenham, Londra (Regno Unito) Brian Harold May. Definire Brian May semplicemente come “il chitarrista dei Queen” vorrebbe dire cogliere solo un aspetto, seppur molto rilevante, della sua persona, rischiando di dimenticare tutte le sfaccettature di un artista e di una mente davvero grandiosa. Brian infatti non è solo un chitarrista, songwriter e compositore di straordinario valore, ma è anche un astrofisico, Cavaliere dell’Ordine dell’Impero Britannico e Sir, titolo che gli è stato conferito da Re Carlo III in virtù dei suoi servigi resi alla musica e per le sue attività di beneficenza. È, insomma, un vero simbolo del Regno Unito nel mondo.

© Sport In Pictures / Alamy Stock Photo

Brian May, una mente geniale

Non dev’essere semplicissimo scegliere quale titolo onorifico utilizzare quando ci si rivolge a Brian May. Il dottorato di ricerca in astrofisica (trovate qui la sua tesi), conseguito all’Imperial College London nel 2007, suggerisce di chiamarlo “Dottore”. Ma l’onorificenza di cui lo ha insignito il Re in persona ha la precedenza, per cui è consigliato far precedere il suo nome da “Sir”. Di certo, May è uno dei pochissimi chitarristi della storia del rock con cui si può incontrare questa impasse.

Anche Clapton, Page e Gilmour sono membri dell’Ordine dell’Impero Britannico, però non si fregiano del titolo di “Sir”. E non sono noti collaboratori della NASA o dell’ESA (o almeno non ci risulta), a differenza del nostro Brian. Appassionato ed esperto anche di fotografia stereoscopica 3-D, May collabora infatti con l’agenzia spaziale statunitense e con quella europea per alcune missioni nel sistema solare. Trovate qualche dettaglio su queste collaborazioni qui e qui

Nel corso della tua attività scientifica May ha studiato in particolare gli asteroidi, con interesse alla possibilità di modificarne la traiettoria, al fine di evitare un’eventuale collisione con la Terra. Se questo dettaglio vi fa pensare anche alla fantascienza, beh, non crediamo che Brian May sia stato anche consulente per la trama del film Armageddon – Giudizio finale con Bruce Willis e Ben Affleck. Non perché non avrebbe avuto tempo o voglia di farlo magari, ma perché il prodotto finale non è di certo memorabile. May è invece un artista che di cose memorabili ne ha fatte eccome. In ogni caso, un asteroide ha preso il suo nome e trovate qui tutti i dettagli.

Tornando alla fotografia stereoscopica, May è anche direttore della sua casa editrice, The London Stereoscopic Company. Pur essendo specializzata in fotografia stereoscopica vittoriana, le pubblicazioni comprendono anche libri in 3-D sull’astronomia e sulla Regina Elisabetta II. Tutti includono il visore stereoscopico OWL, brevettato da Brian. Sempre nell’ambito di questa sua passione, Brian ha anche composto la musica per il cortometraggio di animazione One Night In Hell, che si ispira a delle cartoline stereoscopiche francesi del 1860 con diavoli e demoni.

Una grande mente insomma, ma qual è stato il contributo di Brian allo sviluppo del nostro strumento preferito? Il suo impatto è stato assolutamente fondamentale nella storia della musica popolare. Fermandosi solo alla sua produzione con i Queen, May è autore di brani come Brighton Rock, Fat Bottomed Girls, Flash, Hammer to Fall, Headlong, I Want It All, Keep Yourself Alive, Now I’m Here, One Vision, The Prophet’s Song, Save Me, The Show Must Go On, Stone Cold Crazy, Tie Your Mother Down, Under Pressure, We Will Rock You e Who Wants to Live Forever. Questa lista è solo parziale e potrebbe continuare ancora per molto. May è stato inoltre un pioniere nell’utilizzo della chitarra come strumento orchestrale. Creando strati su strati di parti e assoli di chitarra in sovraincisione ha plasmato le armonie polifoniche della band inglese.

Nel giorno in cui Brian compie i suoi primi settantasette anni, abbiamo deciso di omaggiarlo suonando il suo assolo di Bohemian Rhapsody, un brano che non ha certo bisogno di presentazioni. Guardate il video tributo realizzato dal nostro Paul Audia di Guitar Tutorials.

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Ulteriori informazioni

Brian May, dagli Smile ai Queen al successo planetario 

La prima vera band di Brian May, il cui nucleo andrà poi a costituire la base per i Queen, furono gli Smile. Formatasi a Londra nel 1968, la band era composta da Tim Staffell, Brian e dal batterista Roger Taylor, anch’egli passato poi ai Queen. La band ebbe però una breve durata e, prima dello scioglimento nel 1970, registrò solo sei brani, pubblicati poi in un album postumo intitolato Ghost of a Smile. Di questi brani, uno fu poi reinterpretato proprio dai Queen e pubblicato nel loro album di debutto del 1973: Doing All Right.

Con lo scioglimento degli Smile, May incontrò una persona che gli cambiò definitivamente la vita: il giovane Farrokh Bulsara, che presto cambiò il suo nome in Freddie Mercury. Freddie convinse May e Taylor a continuare e si unì a loro come cantante principale, formando così un nuovo gruppo. Dopo aver provato diversi bassisti, nel febbraio 1971 John Deacon si unì alla nuova band e completò la formazione dei Queen, rimasta inalterata fino alla morte di Freddie.

Calcolare l’impatto avuto dai Queen sulla storia della musica è veramente un’impresa difficile. Oltre all’enorme quantità di dischi venduti (si stima tra le 250 e le 300 milioni di copie), la band è stata citata come influenza decisiva da moltissimi altri musicisti dei più diversi generi. Nell’heavy metal dai Judas Priest, dagli Iron Maiden, dai Dream Theater, da Yngwie Malmsteen e dai Megadeth.

Nell’hard rock dai Guns N’ Roses, dai Def Leppard, da Steve Vai e dai Foo Fighters. Nell’alternative rock dai Nirvana, dai Muse, dai Red Hot Chili Peppers e dai The Killers. Nel pop da George Michael, da Robbie Williams, da Adele, da Lady Gaga e da Katy Perry. Questa lista parziale di nomi dimostra la trasversalità della band inglese, che, in una carriera più che ventennale con Freddie alla voce, ha spaziato tra moltissimi generi e scritto alcune delle hit più importanti degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, che includono molti dei brani composti da Brian che abbiamo citato poco sopra.

Ma cosa ascoltava il giovane May e cosa lo ha influenzato nel suo playing per i primi lavori con i Queen? Troviamo la risposta in questa intervista

“È stata una combinazione di tutte le cose che avevo in testa, a partire da quando ero bambino e ascoltavo la nascita del rock ‘n’ roll in cuffia – nel mio letto, nascosto sotto le coperte. E poi c’era tutto quello che è arrivato alla fine degli anni ’60. Quindi è una combinazione di Buddy Holly, James Burton, Hank Marvin, e poi Jimi Hendrix, Jeff Beck e Pete Townshend. Tutte persone che sono ancora i miei eroi.

Quando mi guardo indietro, non credo che sarei potuto nascere in un momento migliore. Da ragazzi siamo stati così fortunati a crescere in quel periodo in cui le cose stavano esplodendo e tutti i confini venivano infranti.

Quando ho sentito per la prima volta Little Richard, è stato un momento di shock, ma anche la gioia di rendersi conto che le persone potevano davvero cantare in quel modo – potevano urlare le loro emozioni, invece di essere un crooner tranquillo o altro. Non si trattava più solo di cantare melodie. Era cantare la propria passione, la propria rabbia, il proprio amore e il proprio dolore.”

Oltre ai nomi citati in questo estratto, un’altra influenza fondamentale per May fu sicuramente Rory Gallagher, come racconta lui stesso in quest’altra intervista, in cui confessa che deve il suo suono proprio al grande chitarrista irlandese. 

Non ci dilungheremo nel raccontarvi in dettaglio la carriera dei Queen; per una panoramica di Brian su questo periodo, potete ascoltarlo qui. Oppure potreste ascoltare la lunga intervista realizzata da Rick Beato, dove Brian si concentra molto sul suo suono, sulla strumentazione e sull’analisi di Bohemian Rhapsody. Un brano più che iconico, contenuto in un disco altrettanto fondamentale.

I Queen nel 1977 © Creative Commons

Una notte all’opera con i Queen

La copertina di A Night at the Opera, © Brett Jordan, CC BY 2.0

Pubblicato nel 1975, A Night at the Opera è il quarto album dei Queen, probabilmente il più rappresentativo. Il disco deve il suo nome al film dei Fratelli Marx del 1935, elemento che si ripeterà anche con il lavoro successivo, A Day at the Races, con cui forma una sorta di ideale duo. La produzione dell’album fu mastodontica: durò quattro mesi e passò per sei diversi studi, dove la band diede sfogo a tutte le idee e le sperimentazioni possibili. In effetti, basta ascoltarlo nella sua interezza per rendersene conto: i brani spaziano dal progressive rock al pop, dall’heavy metal all’hard rock, dal folk al jazz e, ovviamente, includono elementi dell’opera.

Tutti i membri della band furono poi coinvolti nella composizione e ognuno scrisse almeno una canzone: Mercury scrisse cinque brani, May ne scrisse quattro e Taylor e Deacon scrissero una canzone ciascuno. La traccia di chiusura era invece una cover strumentale di God Save the Queen, l’inno nazionale britannico, per la quale May fu accreditato come arrangiatore e che fu poi utilizzato come chiusura dei concerti della band.

Il pezzo scritto da Deacon è You’re My Best Friend, pubblicato poi come secondo singolo dell’album e diventato uno dei più grandi successi della band. I brani più rock sono invece Death on Two Legs (Dedicated to…) e Sweet Lady, mentre gli episodi più particolari, scritti entrambi da Mercury, sono Lazing On A Sunday Afternoon e Seaside Rendezvous. Un altro brano epocale fu The Prophet’s Song di Brian, che richiamava un particolare sogno fatto dal chitarrista. Con oltre otto minuti di durata, la canzone è la più lunga mai registrata in studio dai Queen e contiene un lungo interludio vocale cantato in canone da Freddie. Questo brano forse avrebbe meritato più spazio nella carriera della band, come sottolinea anche il suo autore:

“Ad essere sincero, ho sempre considerato un po’ un peccato che The Prophet’s Song si sia eclissata, perché Bohemian Rhapsody avrebbe sempre eclissato tutto. Quindi The Prophet’s Song è una specie di luce nascosta nel dimenticatoio. Ma l’aspetto positivo è che si tratta di un lato profondo dei Queen, che la gente apprezza quando inizia ad esplorarlo. È una cosa bella da scoprire e per la quale ci si può entusiasmare.”

Il primo singolo dell’album è infatti l’opera magna della band inglese, Bohemian Rhapsody.

I sei minuti più venerati della storia del rock

Probabilmente non basterebbe un intero articolo per valutare l’impatto avuto da Bohemian Rhapsody sulla storia del rock. Il brano è sostanzialmente una suite di sei minuti, caratterizzata dalla mancanza di un ritornello e composta da diverse sezioni: un’introduzione, un segmento ballad, un passaggio operistico, una parte hard rock e una coda conclusiva.

Il videoclip ha fatto storia, praticamente creando il format per la promozione di un brano, ed è anche una delle poche canzoni progressive rock degli anni Settanta ad essersi dimostrata accessibile a un pubblico mainstream. Il suo successo prosegue, infatti è diventata la canzone più ascoltata in streaming del XX Secolo. Potete imparare l’assolo in dettaglio con il nostro aiuto qui, oppure ascoltare Brian e Roger parlare della creazione del brano in questo documentario.

Il brano ovviamente è stato coverizzato moltissime volte, a partire dalla versione del Freddie Mercury Tribute Concert, con Elton John e Axl Rose, fino all’esibizione dei Rockin’1000, ed è stato scelto anche come titolo per il film biopic dedicato a Freddie Mercury.

Ma come ci si può avvicinare al suono di Brian May? Iniziamo da un elemento spesso considerato secondario, ma centrale invece nel sound di Brian: il plettro.

“Una volta suonavo con quei piccoli plettri di plastica, ma mi sono sempre accorto che erano troppo morbidi. Non riuscivo a sentire cosa succedeva quando l’oggetto toccava le corde. Ho scelto plettri sempre più duri, finché non sono diventati troppo rigidi. Poi un giorno ho preso in mano una moneta, che si dà il caso fosse un sixpence, e ho pensato: “È tutto quello che mi serve”. Le monete da sei pence sono un metallo molto morbido, che non fa male alle corde della chitarra, ma se giro il bordo seghettato ad angolo rispetto alla corda, posso ottenere quel tipo di suono articolato, percussivo e consonante – io lo chiamo graunch. Prima del 1950 circa, avevano un alto contenuto di nichel, che li rendeva molto morbidi, quindi mi piace soprattutto un sixpence del 1947, l’anno in cui sono nato.”

Oltre a procurarvi un sixpence potreste anche guardare questo video didattico degli anni Ottanta di Brian. Ovviamente il suono di May è profondamente connesso con lo strumento che ha usato per gran parte della sua carriera: la Red Special, costruita con il padre Harold nel 1963. Lo strumento è talmente particolare da meritare un libro, scritto proprio da Brian, che ne racconta la storia. Se volete acquistarne una, Brian ha anche il suo marchio ufficiale per venderla (potete controllare qui), ma sono stati molti i produttori che l’hanno realizzata. Le repliche della Guild sono tra le più riuscite, per cui potete cercare online. Brian ha suonato comunque anche delle Fender Stratocaster e delle Telecaster:

Fender Anniv. AV II 1954 Strat 2TSB

Fender Anniv. AV II 1954 Strat 2TSB

Valutazione dei clienti:
(2)
Fender AM Ultra Tele RW Texas Tea

Fender AM Ultra Tele RW Texas Tea

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(23)

L’amplificatore più connesso al suono di Brian è sicuramente il Vox AC30. Dello stesso marchio potete acquistare anche la testa signature MV50 Brian May e l’amplificatore per cuffie AmPlug2 Brian May. Brian ha fatto anche largo uso del Deacy Amp, costruito da John Deacon.

Vox AC30 C2

Vox AC30 C2

Valutazione dei clienti:
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Vox MV50 Brian May

Vox MV50 Brian May

Valutazione dei clienti:
(7)
Vox AmPlug2 Brian May

Vox AmPlug2 Brian May

Valutazione dei clienti:
(17)

Anche per gli effetti potete andare sul sicuro: gran parte del suono di Brian era ottenuto con un Dallas Rangemaster Treble Booster, ora prodotto da British Pedal Company.

British Pedal Company Vintage Series Rangemaster

British Pedal Company Vintage Series Rangemaster

Valutazione dei clienti:
(4)
British Pedal Company OC44 Dallas Rangemaster

British Pedal Company OC44 Dallas Rangemaster

Valutazione dei clienti:
(2)

Optima produce inoltre delle corde signature di Brian:

Optima Brian May Signature Strings

Optima Brian May Signature Strings

Valutazione dei clienti:
(289)

Tantissimi auguri Brian, una delle più grandi menti della chitarra e della storia del rock!

Brian nel 2017 con la Red Special, © Raph_PH, CC BY 2.0

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Riccardo Yuri Carlucci