Una settimana fa, sull’account instagram di Gibson UK non è passato inosservato il trailer di A Complete Unknown, film che uscirà nel 2025; lungometraggio sulla vita di ‘Snob’ Dylan, scritto e diretto da James Mangold (direttore, fra tanti altri ‘movies’, di Walk The Line, 2005, biopic su Johnny Cash) e interpretato da Timothée Chalamet, che abbiamo già visto sul grande schermo in pellicole come Interstellar, Dune o Wonka (il ragazzo si dà da fare e non è niente male visto che proprio quest’ultima commedia musicale, in cui interpreta il giovane Willy Wonka, gli è valsa una nomination al Golden Globe come miglior attore).

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Il dottore della gang di Planet Guitar, Leo Maschio, prezioso collaboratore di queste pagine digitali, ha già scritto molto sull’universo che unisce cinematografia e musica. Rimando ai suoi articoli “Dal palco al set: 10 film con musicisti come protagonisti”, “I 10 migliori film sulla Musica” o “I 10 cameo più assurdi ed esilaranti delle rockstar nei film”, per approfondimenti sul tema.

Qualche domanda (e risposta)

Ci sorprende che sia Gibson a parlarne? No. 

Per il signor Dylan (24 maggio 1941), Premio Nobel per la Letteratura nel 2016, la marca statunitense ha realizzato diverse signature, ormai fuori catalogo (chi ne possieda una, se la tenga stretta!). La più iconica è sicuramente la SJ-200, un chitarrone che si può trovare di seconda mano fra i 6 e i 9.000€ (una bellissima Gibson nuova, modello SJ-200 reissue del ’57 non arriva ai 6.000€…fate voi). Ma a questo punto, se proprio volete fare i fighi, allora prendetevi una Sj-200 Monarch Triple Sunburst che sfiora i 28.000€. E crepi l’avarizia!

Gibson SJ-200 Monarch Triple Sunburst

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Dylan è da sempre stato associato alla marca Gibson? No. 

Lui stesso racconta nella sua autobiografia, Chronicles, che da ragazzo “la prima cosa che ho fatto è stata quella di barattare la mia chitarra elettrica, che non mi sarebbe servita a nulla, con una Martin acustica double-O.” In effetti, a Newport con Joan Baez ha usato la 0-45 (lo vedremo nel film). Per MTV Unplugged, ha fatto una performance con una D-28. Si è esibito in Bangladesh con Leon Russell con una D-28. Nel suo duetto con Johnny Cash, performance piuttosto famosa (che pure rivedremo nel film), ha suonato una 000-18 su Girl From the North Country. C’è stato il concerto tributo nel gennaio del 1968 in cui ha suonato una Martin 0-18. E uno di beneficenza in Cile nel ’74 in cui ha suonato la 00-21 con paletta scanalata.

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Martin Guitars D-28

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Martin Guitars 0-18

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Dylan solo cantautore acustico? No. 

Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan, è tante cose insieme. Nel documentario che Martin Scorsese ha pubblicato sul tour di Rolling Thunder Revue, Dylan ha dichiarato che “la vita è creare se stessi“…e a lui una sola vita è bastata per crearsi e ricrearsi in diverse occasioni. È stata la voce di una generazione, dal 1962 al ’64, leader del movimento folk e di protesta. È l’epoca di Blowing In The Wind, la canzone che cambiò tutto e che diede inizio a una vita di successi. 

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Nel 1965/66 diventa poeta elettrico dai capelli spettinati e gli occhiali da sole -che non ha mai più tolto-. Così si presentò per la prima volta al Festival di Newport con il grande Mike Bloomfield alla chitarra e quando pubblicò il suo album definitivo, Highway 61 Revisited, era già chiaro che la sua conversione all’elettricità non aveva via di ritorno. Ingaggiò gli Hawks (poi The Band), con Robbie Robertson e la sua Telecaster che sputava fuoco, e andò in tour a ricevere urla e insulti ad ogni data, anche se con il tutto esaurito. Gli gridavano ‘Giuda’ per aver tradito il folk (lo vedremo nel film). È completamente ispirato e vive di pastiglie, eroina e alcol, costantemente attaccato alla sua macchina da scrivere, producendo incessantemente pagine di poesia schizofrenica mentre il mondo si trasforma attorno a lui, e gli altri musicisti rock lo considerano il nuovo Messia.

Fender 63 Tele Custom AOW Relic MBDW

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Tuttavia, quando raggiunge l’apice di questo periodo con il magnifico Blonde On Blonde, inizia a sentirsi nuovamente intrappolato: un nuovo Dylan si delinea all’orizzonte, uno che lascerà i riflettori e abbandonerà la vita itinerante per una vita familiare in campagna. La conclusione, prevedibile, è pura giustizia poetica: Bob Dylan che si schianta con la sua Triumph e scompare dalla scena pubblica per diversi anni.

Il padre dell’Americana (1967-1969) 

Dopo l’incidente in moto, Dylan si ritirò a Woodstock, New York, per riprendersi e vivere tranquillamente con sua moglie Sara e i loro figli. Poco dopo, anche i musicisti dei The Hawks si trasferirono lì, senza Levon Helm che si unirà più tardi, e affittarono una grande casa rosa dove, nello scantinato, Dylan e la sua band iniziarono a registrare diverse demo da cui sarebbe nato un nuovo genere, l’Americana. Mentre mezzo mondo viveva le atmosfere psichedeliche dell’estate dell’amore, lui e i suoi ragazzi tornavano alle radici della musica popolare americana, al country, al folk, al blues e al primo rock & roll, per scoprire il piacere degli arrangiamenti minimi e della musica suonata fianco a fianco. Da lì a Nashville il salto è quasi obbligatorio: è in Tennessee che Dylan si trasforma in una specie di crooner country, supportato da Johnny Cash.

Il film dovrebbe arrivare fin qui, grosso modo. E va bene così (ma, attenzione, ci sono tanti Dylan ancora, di cui magari vi racconterò in un altro articolo) perché a quell’epoca il nostro caro Bob aveva già raggiunto l’immortalità.

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Ci troviamo davanti a un genio? Si.

Principalmente per la sua straordinaria capacità di innovare e trasformare il panorama musicale. La sua abilità nel fondere generi diversi, come il folk, il rock e il blues, ha rivoluzionato la musica contemporanea. Le sue canzoni sono caratterizzate da testi profondi e poetici, che esplorano tematiche sociali, politiche e personali con una complessità rara nella musica popolare. La sua influenza è evidente in un’intera generazione di artisti che hanno seguito il suo esempio, cercando di utilizzare la musica non solo come intrattenimento, ma anche come mezzo di espressione e cambiamento culturale.

Oltre alla sua innovazione musicale, Dylan è celebre per la sua costante evoluzione artistica. Non si è mai accontentato di restare fermo in un unico stile o periodo musicale, ma ha continuamente reinventato se stesso e la sua musica, sperimentando con nuovi suoni e approcci. Questa capacità di trasformarsi e adattarsi ha mantenuto il suo lavoro rilevante e influente per decenni. 

Siamo davanti a un grande cantante? No.

Diciamo che le sue doti canore non sono proprio il massimo. Anzi. 

Bob Dylan è spesso descritto come un cantante con uno stile vocale distintivo e non convenzionale. La sua voce è caratterizzata da un timbro nasale e un tono ruvido, che può sembrare “fuori dagli schemi” rispetto ai cantanti tradizionali. Mentre alcuni critici e ascoltatori potrebbero considerare la sua voce come “cattiva” in termini tecnici (è evidente che io sia fra questi), molti altri apprezzano il suo stile unico per l’espressività e l’autenticità che porta alle sue canzoni. La capacità di trasmettere emozioni e raccontare storie attraverso la sua voce è una delle ragioni per cui Dylan è riuscito a connettersi profondamente con il pubblico, nonostante le critiche al suo modo di cantare. Al mio paese si dice ‘dove c’è gusto, non c’è perdenza’.

Se da un lato possiamo affermare che Dylan è autore di tante splendide canzoni, allo stesso modo ci sentiamo liberi di dire che ci piacciono infinitamente di più quando le interpretano altri artisti. Qui di seguito 10 esempi (che potrebbero essere 100):

Insomma, avevamo davvero bisogno di questo film? No, ma…

A noi la musica piace sentirla e suonarla. Crediamo anche che questi film vogliano trasformare in eroi ‘Marvel-style’, degli esseri umani che, per quanto straordinari, sempre umani sono. Ma se è vero che non ne abbiamo bisogno, è anche vero che non vediamo l’ora di vederlo (magari con un bicchiere di whisky Heaven’s Door in mano, prodotto da…indovinate chi!). Per tornare ad ascoltare quelle canzoni, per saperne un po’ di più su un personaggio enorme come Dylan e per farci trasportare per un paio d’ore indietro nel tempo, fino a quegli anni ’60 che abbiamo letto, ascoltato e sognato tante, forse troppe, volte.

Buona visione.

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Massimo D’Angelo