La morte improvvisa e controversa di Jimi Hendrix il 18 settembre 1970 lasciò in sospeso abbozzi di nuovi dischi, progetti, aspirazioni e una serie di album pubblicati a suo nome dopo la sua scomparsa. Nel primo articolo abbiamo ricostruito la genesi dei primi dischi postumi; nel secondo abbiamo proseguito con alcune pubblicazioni, comprese tra il 1972 e il 1997, destinate a far discutere pubblico e critica. In quest’ultimo articolo ci occuperemo di gran parte delle altre uscite fino agli anni Duemila, stilando un bilancio finale
Alcune uscite di fine anni ’90
L’ultimo decennio del secolo scorso si aprì con diverse nuove uscite legate al nome di Hendrix. A fine 1990 uscì lifelines, quattro Cd con diverso materiale tra cui parte del concerto di Jimi al Forum di Los Angeles del 26 aprile 1969.
Nel giugno 1991, dopo aver lavorato ai nastri del concerto, Alan Douglas, che abbiamo già incontrato nel precedente articolo, pubblicò live isle of wight, un’uscita che testimoniava ancora una volta quanto tribolata e confusa fosse stata quella performance. Anche in questa edizione, comunque, non fu riproposta la scaletta originale né uno dei nuovi brani presentati quella sera come Freedom.
L’anno successivo fu la volta di stages, progetto di quattro Cd di show dal vivo dal 1967 alla morte di Jimi. Per il 1969 la scelta cadde sul concerto tenuto dalla Jimi Hendrix Experience il 24 maggio alla San Diego Sports Arena, mentre per il 1970 quello del 4 luglio all’International Pop Festival Atlanta in trio con Mitch Mitchell e Billy Cox.
La Rock and Roll Hall of Fame
Il 1992 fu anche l’anno della cerimonia per l’ingresso della Jimi Hendrix Experience nella Rock and Roll Hall of Fame, con un discorso d’introduzione tenuto da Neil Young (che quello stesso anno fece uscire un brano dal titolo From Hank to Hendrix).
Young, che avrebbe poi paragonato i suoni della chitarra di Jimi all’esplosione di una bomba molotov, in quell’occasione disse che da Jimi aveva imparato ad andare con la musica là dove non esistono più barriere, e che quando lo guardava suonare subiva sempre l’incanto della sua arte, tanto da non riuscire a riconoscere cosa stesse facendo con le sue lunghe dita sui tasti della chitarra.
Alla cerimonia, oltre a Mitch Mitchell e Noel Redding, c’era anche il papà di Jimi, Al Hendrix, molto commosso e accolto da una standing ovation.
Il tributo: Stone Free
Un anno più tardi uscì stone free: a tribute to jimi hendrix, un interessante progetto che univa artisti diversi per rendere omaggio alla musica di Jimi e a cui parteciparono, tra gli altri, Chris Cornell con Hey Baby, Pat Metheny con Third Stone From the Sun, i Cure con Purple Haze, i Living Colour con Crosstown Traffic ed Eric Clapton con Stone Free. Come è noto, già con i Derek and the Dominos Clapton aveva inciso Little Wing una decina di giorni prima della morte dell’amico nel suo leggendario album del 1970 layla and other assorted love songs.
Il Blues per Jimi
Nel 1994 videro la luce altre pubblicazioni come: woodstock, a venticinque anni dalla storica rassegna, e: blues, una compilation curata sempre da Douglas volta a porre in risalto le profondissime radici blues del chitarrista di Seattle. Qui spiccano per intensità una Hear My Train A-Comin’ acustica e solitaria fatta con una dodici corde e alcune cover dei suoi “bluesmaster” come Catfish Blues e Mannish Boy di Muddy Waters, Born Under a Bad Sign di Albert King e Bleeding Heart di Elmore James.
Una lunga battaglia legale e un nuovo catalogo
Nei primi anni Novanta il padre di Jimi – in assenza di testamento di fatto l’unico vero erede – decise di rimettere in discussione i precedenti accordi sulla gestione del patrimonio del figlio, avviando una lunga ed esosa battaglia legale che a metà decennio gli consentì di fatto di assumere la proprietà e la gestione dei diritti del lascito artistico di Jimi.
Poco dopo la sentenza fondò la Experience Hendrix, la cui guida passò poi nelle mani della sorellastra di Jimi, Janie, immortalata per la prima volta in una fotografia con lui il 12 febbraio 1968 nel backstage del concerto alla Central Arena di Seattle quando aveva appena sei anni.
Nel 1997 la nuova società lanciò non solo nuove ristampe di tutti gli originali da studio in collaborazione con Eddie Kramer, ma ebbe l’ambizione di dar vita a un “nuovo catalogo” delle opere di Hendrix. Si trattava però di mettere ordine in quello vecchio e magmatico, gestito da persone e curatori diversi nei decenni precedenti. Una sorta di lavoro di pulizia e restauro, dunque, il cui primo vero frutto fu la pubblicazione in aprile di quel first rays of the new rising sun della cui accoglienza già si è detto nell’articolo precedente.
A seguito delle critiche per la scelta della tracklist, poco tempo dopo fu messo sul mercato un secondo prodotto dal titolo south saturn delta. Era l’ottobre del 1997 e presentava materiale estremamente eterogeneo a coprire un arco di produzione di tre anni, con una serie di outtakes di studio nate in momenti e progetti diversi, per un totale di quindici tracce. Curato dall’archivista John McDermott, fra le più interessanti vi era senz’altro la title track South Saturn Delta, uno strumentale nato in due sessioni in studio nella tarda primavera del 1969, una versione solista ed emozionante (diversa da quella apparsa nel disco omonimo) di Midnight Lightning del marzo 1970, in cui si sente il piede di Jimi battere mentre la registra, nonché un brano qui intitolato Sweet Angel che non è altro che una demo solitaria della meravigliosa Angel.
Per restare in tema di demo solitarie e registrazioni intime, un’altra versione base di questa canzone si trovava nel breve ma interessante jimi by himself: the home recordings, uscito nel 1995 ancora sotto la gestione Douglas, in cui si raccolsero alcune demo registrate dal chitarrista nell’appartamento di Manhattan nella primavera del 1968. Gran parte di questo materiale sarebbe poi confluito, trasformato, in electric ladyland.
La riproposizione di alcuni live di Hendrix
In chiusura di anni Novanta uscirono diverse riproposizioni di concerti dal vivo. Live at the oakland coliseum (1998), tratto dallo show del 27 aprile 1969 in California in cui Jimi suonò due grandi versioni di Hear My Train A-Comin’ e Sunshine of Your Love; bbc sessions (1998), che riprendeva circa dieci anni dopo diversi brani dell’Experience già usciti in radio one ma presentava finalmente l’inedita cover dylianana Can You Please Crawl Out Your Window?; il doppio live at the fillmore east (1999), che riproponeva canzoni dai quattro set di concerti tenuti dalla Band of Gypsys nel tempio della musica rock di Bill Graham tra la notte di Capodanno 1969 e il primo giorno del 1970 non inserite nel disco omonimo.
Infine, ancora un live at woodstock (1999), che però a differenza di quello presentato da Douglas cinque anni prima presentava l’intera performance dei Gypsy Sun and Rainbows, non sempre impeccabile ma destinata a entrare nella storia.
Riascoltati oggi, questi live mostrano con grande chiarezza i tentativi di evoluzione di Hendrix nel passaggio da una formazione musicale all’altra. Al tempo stesso, però, rendono evidente come dopo lo scioglimento dell’Experience egli non fosse ancora riuscito, per una serie di motivi, a dar vita alla vera band che aveva in mente o a creare attorno a sé la comunità di musicisti più adatta a lui. Non sappiamo, e probabilmente non era ancora chiaro neppure a lui, se si sarebbe trattato di una formazione numerosa oppure di un gruppo ristretto. Anche questo resta, in fondo, un disegno incompiuto.
Le uscite targate anni Duemila
Con il cambio di millennio non si arrestarono le nuove uscite e le novità, alcune interessanti, altre più discutibili. Nel 2000 fu inaugurato a Seattle l’«Experience Music Project» da un’idea di Paul Allen, il co-fondatore della Microsoft che aveva sostenuto economicamente la famiglia Hendrix nella lunga e intricata causa legale.
A luglio uscì poi morning symphony ideas, un insieme di improvvisazioni in studio che tra le altre cose ospitava la delicata Scorpio Woman, registrata da Jimi durante il viaggio a Maui nell’estate 1970. A settembre fu pubblicato un lavoro molto ampio, confluito in un cofanetto di ben quattro Cd intitolato the jimi hendrix experience.
Probabilmente grazie al recupero di alcuni nastri conservati dallo storico mentore e primo produttore di Jimi, Chas Chandler, scomparso nel luglio 1996, questa ricca quanto eterogenea pubblicazione fece conoscere al pubblico diverse alternate take di brani già editi e di grande successo come Purple Haze, Foxy Lady, Hey Joe, Little Wing, Stone Free e If 6 Was 9, ma ospitò anche rarità come Cherokee Mist, lo strumentale del giugno 1970 ancora da strutturare che Jimi avrebbe forse voluto inserire nel nuovo album, It’s Too Bad, jam del febbraio 1969 registrata con l’organista Larry Young, nonché il frammento bruscamente interrotto di Slow Blues, inciso da Hendrix prima di lasciare per sempre New York e, di fatto, testimonianza del suo ultimo ingresso in sala d’incisione.
Il box-set conteneva inoltre una duplice veste di Room Full of Mirrors: prima in un’affascinante demo dell’estate 1968 chitarra e armonica in pieno stile Delta, poi in un’altra versione (delle circa trenta complessive) della primavera 1969 ai Record Plant insieme a Billy Cox.
Merita una menzione a parte anche il meraviglioso medley di Hey Baby/In From the Storm. Anch’esso ripreso dai concerti all’isola di Maui di fine luglio 1970, peraltro immortalati anche nel Cd “non ufficiale” the rainbow bridge concerts uscito nel 2002.
In questo stesso anno uscì blue wild angel, il Cd contenente per la prima volta tutta la tormentata esibizione di Jimi e compagni all’isola di Wight. L’ascolto complessivo rende ancora più nitidamente l’idea di quanto Hendrix fosse frustrato quella sera tra ronzii, sbavature, stridori di casse e interferenze varie, ma comunque capace di eseguire in modo magistrale canzoni nuove come In From the Storm, il brano con cui si congedò facendo di fatto calare il sipario sul suo ultimo concerto ufficiale in Gran Bretagna, il Paese dove tutto era cominciato quattro anni prima.
Una decina di mesi dopo, il sempre vastissimo pubblico di appassionati hendrixiani poté mettere le mani su un’altra uscita, live at berkeley, che riproponeva lo storico secondo concerto del 30 maggio 1970 al Community Theatre, considerata una delle migliori performance in assoluto del trio Hendrix-Cox-Mitchell, di fronte a un pubblico in visibilio al cospetto non solo dei grandi classici ma anche di nuovi brani ancora in elaborazione come Pass It On (la futura Straight Ahead), Lover Man e Hey Baby (New Rising Sun).
Jimi e Martin Scorsese
A dimostrazione dell’interesse mai venuto meno per la sua musica e la sua figura, sempre nel settembre 2003 venne pubblicato martin scorsese presents the blues: jimi hendrix, un Cd-raccolta con due inediti curato dal grande regista italo-americano di Taxi Driver, New York, New York e L’ultimo valzer sull’ultimo concerto di The Band nel 1978.
Grande appassionato di musica, Martin Scorsese curò la raccolta di questi Cd (uno dei quali dedicato anche a Stevie Ray Vaughan) in concomitanza con la produzione della più ampia opera the blues, che raccoglieva ben sette documentari a firma di sette diversi registi (tra i quali Wim Wenders e Clint Eastwood) sull’evoluzione e l’importanza di questa forma d’arte per la storia americana e non solo.
Valleys of Neptune
A seguito della morte di papà Al nell’aprile 2002, l’inizio del nuovo millennio portò diversi cambiamenti nella famiglia e nella gestione della società chiamata a curare l’eredità hendrixiana.
In ogni caso, non tardarono ad arrivare altre pubblicazioni: non solo live at the isle of fehmarn nel 2005, l’ultimo complicato concerto ufficiale tenuto da Jimi, ma anche il più travolgente live at monterey nel 2007 e l’atteso valleys of neptune nel 2010, un nuovo Cd contenente dodici tracce ancora inedite di registrazioni da studio, in gran parte risalenti alla prima parte del 1969.
Tra queste, oltre alla cover strumentale del classico dei Cream Sunshine of Your Love tratta da una registrazione londinese di metà febbraio 1969, la title track era quella che destava più curiosità: si trattava infatti di un’altra canzone che Jimi andava rifinendo da tempo senza apparentemente mai trovare la soluzione ottimale. Un altro work in progress, dunque, che si sarebbe protratto fino alla tarda primavera 1970, quando Hendrix ci tornò sopra in studio agli Electric Lady Studios con Cox, Mitchell e il percussionista Juma Sultan.
Le ultime uscite importanti
Nel quarantennale della morte del chitarrista, a fine 2010 uscì una copiosa antologia intitolata west coast seattle boy, ambizioso progetto esteso a ben sei anni di carriera di Jimi, dagli inizi come sideman di varie band R&B dei primi anni Sessanta fino all’ultimo anno; oltre ai quattro Cd venne presentato anche un Dvd-documentario sulla sua storia dal titolo Jimi Hendrix: Voodoo Child.
Al di là delle solite versioni alternative e ancora inedite di brani noti, ospitava alcune gemme rare come Tears of Rage, la cover di Bob Dylan mai pubblicata prima e registrata da Jimi nel marzo 1968 nella camera di un hotel newyorkese con una chitarra non perfettamente accordata; Shame, Shame, Shame, registrazione londinese del 16 febbraio 1969; Lonely Avenue, incisa ai Record Plant nel novembre dello stesso anno; mentre l’affascinante Bolero, in medley con Hey Baby, risaliva a sessioni di inizio luglio 1970 agli Electric Lady.
Seguitando a scavare nell’abbondante archivio, nel nuovo decennio videro la luce altri due Cd: people, hell and angels, uno dei titoli che a un certo punto Jimi aveva paventato per il suo nuovo (triplo) album, uscì nel 2013 presentando altre dodici tracce tra cui Villanova Junction Blues e Somewhere. Both side of the sky fu invece messo sul mercato nel 2018, proponendo tracce non sempre convincenti ma contenente se non altro la cover di Things I Used to Do di Guitar Slim e Send My Love to Linda, un brano anch’esso incompiuto dell’ultimo periodo londinese di Hendrix, fatto uscire dopo un lavoro di montaggio di versioni diverse.
In mezzo a queste due uscite, nel 2016 fu pubblicato machine gun: the fillmore east first show, documento completo della prima performance della Band of Gypsys l’ultimo giorno del 1969. Un anno dannatamente tribolato per Jimi Hendrix, esattamente come quello che l’avrebbe seguito e che l’avrebbe portato alla tragica quanto misteriosa morte il 18 settembre 1970.
Un breve bilancio
Come abbiamo visto in questi tre articoli dedicati al lascito discografico di Hendrix, possiamo dire che nessuna delle pubblicazioni postume può essere considerata l’autentica realizzazione dell’opera che Jimi aveva in mente.
Tuttavia, c’è un elemento che non si può non considerare: la straordinaria sproporzione fra i (soli) tre album in studio “ufficiali” realizzati da Jimi in vita e le centinaia di pubblicazioni discografiche postume. Un materiale eterogeneo e problematico, certo, che però sarebbe fuorviante ignorare.
Per il suo compagno di strada Billy Cox, Jimi era un artista che evolveva a una velocità fuori dal comune, tanto interiormente quanto nel rapporto con la sua musica. Sempre secondo Cox, quello che possiamo ascoltare di Hendrix attraverso i numerosissimi dischi postumi non è da considerare come qualcosa di definitivo, ma come una serie di tasselli di un mosaico. Spetta a ognuno di noi provare a comporlo per intuire dove il chitarrista mancino partito da Seattle voleva infine arrivare.
L’ultimo periodo della sua vita è stato difficile, tribolato, ancora privo di una direzione precisa. Nella ricorrenza di quello che sarebbe stato il suo ottantaduesimo compleanno, mi piace pensare che Jimi fosse in attesa di un nuovo, misterioso inizio e che il suo sguardo fosse rivolto ai primi raggi di un nuovo sole che stava per nascere.
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