In quel periodo irripetibile che segna il passaggio dagli anni Sessanta ai Settanta, gli studi di registrazione sono stati spesso luoghi di incontri, scambi, incroci tra figure carismatiche e musicisti pieni di talento. Se cavi, legni, microfoni e amplificatori conservassero una loro memoria sonora, probabilmente potremmo scrivere un’altra storia della musica, più sotterranea, meno patinata. Dopo 461 Ocean Boulevard di Eric Clapton e Joyous Lake di Pat Martino, registrati rispettivamente nel 1974 e nel 1976, oggi torniamo ai Criteria Recording Studios di Miami per parlare di un paio di dischi e alcune canzoni incise da una band leggendaria.
Gli Allman Brothers ai Criteria
Nella notte tra il 26 e il 27 agosto 1970 i Derek and the Dominos, che hanno appena iniziato a registrare quello che diventerà l’album Layla, ospitano in studio alcuni membri della Allman Brothers Band. Oltre alla passione per il blues hanno in comune il produttore, Tom Dowd, che in quelle settimane sta ultimando la lavorazione di Idlewild South proprio ai Criteria.
Si tratta del secondo album dei fratelli Allman e fa da cerniera tra il disco d’esordio omonimo dell’anno prima e il successivo, acclamatissimo live At the Fillmore East del 1971.
Quella lunga notte di jam e improvvisazioni spontanee segna l’inizio dell’intensa quanto breve collaborazione tra Eric Clapton e Duane Allman. Tra fine agosto e i primi giorni di settembre «Skydog» registrerà in studio undici delle quattordici tracce del futuro doppio album dei Dominos. A detta dello stesso Eric, fu Duane a imprimere la scintilla creativa decisiva al lavoro, sprigionando la sua abilità nel far scivolare la sua slide di vetro – la «Coridicin bottle» – sulle corde della Gibson Les Paul. Un’impronta chiarissima immortalata non solo nel noto riff iniziale ma anche nel lungo piano coda finale di Layla, con i noti birdcalls generati dalle note di slide suonate ai tasti più alti.
Quella stessa notte, nei rari momenti di pausa ai Criteria, Tom Dowd fa ascoltare a tutti alcune registrazioni del nuovo album della Allman Brothers Band: mancano poche settimane all’uscita e restano gli ultimi dettagli da limare.
Idlewild South
Al di là dell’indiscussa leadership del biondo «Skydog» all’interno della band e nei numerosi live che gli Allman Brothers tengono da quando si sono formati, c’è un altro chitarrista pieno di idee e di carica espressiva che imprime il proprio stile all’interno del sestetto. Il suo nome è Forrest Richard, ma tutti lo chiamano Dickey. Dickey Betts.
Classe 1943, cresciuto in Florida, Dickey non è solo un eccellente musicista. La sua mente è aperta sin da bambino a numerose influenze musicali e generi diversi, dal country al bluesgrass, dal jazz al rock passando per il blues. Tutte queste inseminazioni prenderanno forma nel suo songwriting, a cominciare proprio da Idlewild South che si apre con una sua composizione, la gioiosa Revival.
Dickey e Liz
È però la quarta traccia, posta al cuore dell’album, quella destinata a entrare nella storia della band. Si tratta di un brano strumentale, il primo degli Allman, ed è tutto a firma Betts.
Porta un titolo enigmatico: In Memory of Elizabeth Reed. Una donna effettivamente sepolta al cimitero Rose Hill di Macon, in Georgia, un luogo avvolto nel mistero e di indubbio fascino dal momento che si dice che Dickey ci andasse a rilassarsi e a scrivere.
La versione in studio dura circa sette minuti e sin dal primo ascolto si è attirati nelle maglie sonore orchestrate da Dickey. La sua chitarra e quella di Duane si intrecciano, prima all’unisono, poi esplorando frasi personali dal sapore dorico, caldo, avvolgente. Coloriture jazz si fondono a un tocco tipicamente blues e a sonorità più rockeggianti, creando quello stile inconfondibile noto come “southern rock”.
La versione live al Fillmore dura quasi il doppio ed è considerata da molti una sorta di prova insuperabile, definitiva, del brano di Betts. Del resto, come ha detto lo stesso Dickey, tutto il disco sembra condensare lo spirito di quell’epoca, e questo spiega perché suoni ancora oggi così fresco e innovativo.
I due chitarristi sul palco si scambiano idee e si alternano nel playing ritmico e solistico affermando ognuno il proprio stile distintivo, proprio come avevano fatto sin dalla prima jam privata nella storica data del 23 marzo 1969. Una strada, così come quella dell’abbinamento di batteria e congas, che sarà poi seguita da altre formazioni in ambito rock.
La lezione di Dickey Betts
Liz Reed è solo il primo di diversi brani strumentali che Betts comporrà nella sua lunga carriera. Ma è già un marchio di fabbrica. Il suo modo di suonare così melodico, incisivo senza essere sfrenato, va di pari passo con la sua capacità di costruire solo perfetti, che lo renderà un maestro in the art of improvising.
Dickey propone un fraseggio mai banale, talvolta incendiario e fulmineo ma più spesso paziente, lirico, fissando un tema, un motivo, una breve cellula melodica per poi espanderla, talvolta suonando anche note “out” perfettamente calibrate.
Con la sua aria da cow-boy silenzioso e gentile, baffi, stivali e cappello, è un chitarrista che rifugge ogni forma di competizione e non ha paura di prendersi il suo tempo, di immaginare note un attimo prima di suonarle, senza lasciar correre le dita per impressionare chi lo sta ascoltando.
Una lezione che mi ha sempre convinto e ispirato: la chitarra non è uno strumento pirotecnico ma un mezzo espressivo e creativo. La forza di questa capacità espressiva non sta nella velocità o nella tecnica in sé, ma in quello che si riesce a immaginare ed esprimere sulle sei corde.
Mangia una pesca
Dopo l’uscita di Idlewild South la fratellanza, la linfa vitale su cui si fonda la Allman Brothers Band, sembra destinata a non incontrare ostacoli. Soprattutto a seguito del successo commerciale del live At the Fillmore East, che inverte la rotta rispetto ai risultati non eclatanti dei primi due album.
La stanchezza della vita on the road però inizia a minare qualche equilibrio. Una serie interminabili di concerti e l’abuso sempre più incontrollato di sostanze fanno il resto.
Nell’autunno del 1971 Duane pare deciso a ripulirsi una volta per tutte, ma un giorno di fine ottobre cade spaventosamente dalla sella della sua Harley. Ha appena ventiquattro anni e nessuno suonerà più la sua bottiglietta di Coridicin. La sua salma verrà traslata al Rose Hill Cemetery di Macon, proprio quello di Elizabeth Reed, seguito circa un anno dopo da quella del bassista Berry Oakley, anche lui vittima di un incidente motociclistico.
La line-up originaria della band, considerata da molti uno dei migliori gruppi della storia, è ormai mutilata, ma Dickey e compagni conoscono un solo modo per onorare la memoria del fratello Duane: continuare a suonare. Così, pur affranti dalla perdita irreparabile di Skydog, portano avanti le registrazioni del nuovo album, ancora una volta ai Criteria di Miami con la produzione di Dowd.
Composto da parti dal vivo tratte dal Fillmore e da nuovi brani registrati in studio, Eat a Peach uscirà come album doppio all’inizio del 1972. Betts vi compare come autore di Les Brers in A minor e Blue Sky e, in continuità con l’amico Duane, suona anche una parte slide in Ain’t Wastin’ Time No More, il singolo che lancerà il nuovo disco. Duane sarà anche il nome che Dickey darà a uno dei suoi figli, qualche anno più tardi.
In Memory of Dickey Betts
Quello che viene dopo quest’album è un’altra lunga storia, fatta di uscite e rientri dalla band, divorzi dolorosi, progetti solisti, album a proprio nome e interpretazioni memorabili dei suoi classici, da Ramblin’ Man a Jessica per citarne solo un paio. Oggi è tempo di rendere omaggio a questo chitarrista unico, amatissimo in tutto il mondo anche per la sua solidità stilistica. Pochi giorni dalla sua scomparsa all’età di ottant’anni, ho scelto di farlo tornando ai Criteria Studios. A quei mesi in cui tutto stava nascendo. A quei cavi, legni e amplificatori che hanno accolto il primo brano strumentale di uno dei co-fondatori della Allman Brothers Band: In Memory of Elizabeth Reed. In Memory of Dickey Betts.
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