Planet Guitar incontra al Flam Music Studio di Milano Peter Cornacchia, chitarrista che accompagna Marco Mengoni da ormai oltre 15 anni, insegnante e non da ultimo studente della Facoltà di Musicologia. Quest’ultimo aspetto della sua vita, misto alla sua maturità artistica contribuiscono a restituire un messaggio di ricerca dell’autenticità, che Peter, pur con grande umiltà nonostante l’invidiabile carriera, reitera più volte nella nostra chiacchierata. Saremmo rimasti a chiacchierare con lui per ore e speriamo torni presto su Planet Guitar.

© Per gentile concessione di Peter Cornacchia

Planet Guitar: Benvenuto su Planet Guitar Peter! Mi piacerebbe cominciare dove è iniziato tutto per te: dove nasce la tua passione per la musica e la chitarra? 

Peter Cornacchia: In casa ho sempre respirato tanta musica, mio padre è un chitarrista “a orecchio”, mia sorella maggiore ha sempre ascoltato molta musica Italiana, da Battisti a De André e poi sono arrivati i Beatles, i Pink Floyd, gli Eagles… Fino agli 11 anni non ho mai desiderato avvicinarmi ad uno strumento, poi alle scuole medie sostituirono il flauto con la chitarra e mio padre mi insegnò i primi accordi. Facevo tante cose a orecchio, ma lo studio dello strumento è cominciato seriamente solo quando avevo 12 anni. 

Planet Guitar: C’è stato un disco o un evento che ti ha poi dato quel “La”? 

PC: Assolutamente. Ci sono stati 2 dischi che mi hanno sconvolto: Made in Japan dei Deep Purple regalatomi ad un Natale da mio padre e poi a 14 anni ho avuto Echoes, il “best of” dei Pink Floyd e lì sono nato per la seconda volta [ride]. 

© Per gentile concessione di Peter Cornacchia

Lì per me è cambiato tutto… Ho iniziato a desiderare di suonare come Gilmour -chitarrista inimitabile- e questo mi ha davvero sconvolto come chitarrista. 

Planet Guitar: Quand’è che hai capito che ne avresti fatto una professione? 

PC: Il mio sogno da quando ho iniziato a suonare la chitarra è sempre stato quello di andare sul palco ed esprimermi. Fino ai 12 anni, cresciuto in campagna e con pochi amici, ero abbastanza timido. La musica mi ha trasformato in quello che forse ero già nel profondo. Il mio obiettivo era diventare un chitarrista, andare sul palco e divertirmi per manifestare quello che avevo dentro. Al liceo ho iniziato a suonare con le band e ci ho preso gusto: suonare, fare riff rock, assoli… 

Dopo il liceo l’insuccesso nella carriera universitaria in architettura mi ha aiutato a capire di volermi concentrare sulla musica. Lo studio della musica lo avevo  iniziato a Cassino con Gino De Cesare, maestro che mi ha trasmesso tantissimo e con cui ho studiato tanta chitarra classica, perché il rock lo studiavo a casa… Una volta gli feci ascoltare Since I’ve been loving you perché volevo studiarla e lui mi disse “fattell’ a la casa” [ride]. Lì ho capito che il percorso di studio doveva tendere a qualcosa a cui non arrivassi da solo ad orecchio e da autodidatta. 

Attorno ai 20 anni frequentando l’accademia a Roma ho conosciuto quelli che sarebbero stati i produttori di Marco Mengoni e ho iniziato a lavorare da subito in studio, ho avuto una fortuna notevole. 

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Planet Guitar: Pensando a quello che suoni con Marco Mengoni, più vicino al soul e al pop, come concili il tuo sentirti un chitarrista da riff rock?   

PC: Non sempre è facile; chi come me nasce con il rock degli anni ‘70, ha necessità di improvvisare per esprimersi. Questa cosa non sempre è possibile, ma io sono fortunato perché Marco nonostante sia un artista da top classifica mi lascia un certo spazio nei live da sempre. Ovviamente non faccio assoli dall’inizio alla fine, ma riesco a portare un po’ di umanità nel concerto all’interno di un contesto in cui altrimenti i concerti sarebbero tutti un po’ uguali (stessi arrangiamenti, stesse sequenze) e lui cerca sempre di aggiungere qualcosa di vero lasciandomi improvvisare. In questo rimango attaccato alle mie origini. 

Se fai questo lavoro però devi anche saperti avvicinare ad altri genere. Per il disco Atlantico, ho avuto modo di approfondire tanta musica originaria di tanti paesi diversi. Abbiamo poi registrato alle Officine dove Mauro Pagani ha messo a disposizione strumenti delle più disparate tradizioni popolari. 

© Per gentile concessione di Peter Cornacchia

Planet Guitar: In oltre 15 anni di carriera di aneddoti da raccontare ne avrai raccolti un po’, cosa ci puoi raccontare?   

PC: Le cose che fanno più ridere sono gli errori… miei. Possono capitare quando si fanno centinaia di concerti in un anno. Nel 2013, nell’Essenziale tour, il primo grande tour, c’era come direttore musicale Luca Colombo. Per me era un’occasione per studiare da uno dei migliori; una volta sono partito con il riff sbagliato su La vita non ascolta e ho visto Luca girarsi e urlare “Cosa è successo?!?” con tutta la band che mi guardava [ride].

Un altro aneddoto riguarda mio figlio… Marco mi aveva chiesto di registrare una intro per Calci e pugni, che registrai a casa. Una intro bella, molto sentita e di cui ero piuttosto soddisfatto. Dopo avergliela inviata mi accorgo che ad un certo punto si sentiva un vagito di mio figlio e chiamo subito Marco per dirgli che gli avrei mandato la traccia corretta, sentendomi dire che invece andava benissimo così. Ad oggi quel “rumorino”, il vagito di mio figlio è ancora lì [intorno al secondo 18 ndr]. 

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Planet Guitar: Quanto sei legato all’oggetto chitarra? 

PC: Se chiudo gli occhi e penso a un manico penso a un manico Stratocaster, nonostante per tanto tempo io abbia suonato con una Les Paul Traditional del 2009 in tour. Bisogna però fare i conti con la tipologia di concerto. Quindi con l’evoluzione del repertorio di Marco ho iniziato a privilegiare una Telecaster Custom Shop del 2016 e una Stratocaster Paoletti. 

Sono molto più selettivo nelle acustiche, utilizzo una Maton Messiah del 2009 da sempre e da quella non posso fare a meno. Pensa che una volta in un incidente mi si è aperta la fascia in 2 e continuava a suonare benissimo… Sono legato allo strumento nella misura in cui mi fido dello strumento, ma non ho un rapporto malato e non sono neanche un collezionista. 

Fender Player Series Strat HSS MN BCR

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Fender AV II 51 TELE MN BTB

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Maton EM100C Messiah

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Planet Guitar: Cosa ti piace portare con te sul palco? 

PC: Per necessità uso spesso un MIDI controller, il Labyrinth di Costalab, poi ho avuto la Ground Control di Voodoo Lab per controllare tutti i vari Eventide Time Factor, Strymon Mobius… Tutto quello di cui necessitiamo (o necessitavamo dato che tanti usano oggi il digitale, soprattutto nel pop mainstream). Io ancora oggi preferisco testata e cassa Hiwatt che fanno tremare il palco (e Giovanni Pallotti il bassista) [ride]. Per fortuna con i fonici di palco e sala Alberto Butturini e Stevan Martinovic che sono dei grandi fan della chitarra “vera”, quindi ho bei volumi. E poi altri pedali… Vemuram, Xotic… 

Eventide TimeFactor

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Strymon Mobius

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Planet Guitar: Se potessi scegliere un artista contemporaneo, dove ti piacerebbe sentire la tua chitarra? 

PC: Post Malone, che ultimamente sta riportando in auge nel suo songwriting il country in chiave moderna. La mia comfort zone è la chitarra suonata “all’americana”, che insospettabilmente alle volte esce anche nei pezzi che suono con Marco. 

© Per gentile concessione di Peter Cornacchia

Planet Guitar: Ho curiosato tra i tuoi lavori da solista, sentendo cose molto diverse, da pezzi per chitarra classica a cover dei Pink Floyd. Cosa hai in cantiere per il futuro? 

PC: Indubbiamente devo fare qualcosa [ride]. Ho iniziato a rilasciare dei brani per chitarra classica perché quando devo riflettere la prima cosa che faccio è prendere la chitarra classica, quella di mio padre che tra l’altro ha un’action proibitiva, ma che mi trasmette verità. Mi diverto con la chitarra classica e cerco di farlo con sincerità e rispetto verso lo strumento pur seguendo la mia personalità. 

Poi ho un mio progetto di brani inediti in inglese che prima o poi pubblicherò. C’è una parte di me che è fortemente legata al songwriting. Io ho sempre ascoltato tanta musica musica americana: Eagles, Jackson Browne, Crosby, Stills & Nash… Ho iniziato a suonare con una band di amici a Cassino, gli MGM, con cui ho pubblicato 2 dischi di hard rock. Con loro ho iniziato ad amare il modo di suonare il rock degli anni ‘70 perché il modo di suonare in quegli anni portava un messaggio irripetibile. Veniva filtrato attraverso quei riff che venivano suonati in quel modo. Era un messaggio autentico che resta un modello di riferimento ancora oggi per me…

L’intervista si conclude con Peter che approfondisce il tema dell’autenticità di quel rock che ha segnato lui come tanti tra i nostri lettori e la promessa di rivederci presto su Planet Guitar. Non capita così spesso di creare una sintonia come quella che è emersa nella chiacchierata con Peter. E non è così comune la sua ricerca per qualcosa di autentico, a maggior ragione pensando al contesto sicuramente sfidante in cui è cresciuto artisticamente, ma che avrebbe potuto “appiattirlo” e invece lo ha spinto nella sua ricerca. 

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Emanuele Pellegrino