Il protagonista di questa intervista è Andrea Braido, chitarrista dallo stile unico e inconfondibile. Come turnista ha lavorato con i migliori artisti del panorama musicale italiano tra cui Vasco Rossi, Mina e Zucchero. Abbiamo parlato con lui dei suoi esordi, della sua passione per la musica e della sua innata curiosità; ci ha raccontato alcuni aneddoti della sua lunghissima carriera e ci ha parlato della sua visione a 360 gradi sulla vita del musicista e dell’artista in generale. La location di questa intervista è il bellissimo studio immerso nella campagna alessandrina di Umberto Ferrarazzo, che ringraziamo per l’ospitalità. Buona lettura!

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Planet Guitar: Ciao Andrea e benvenuto su Planet Guitar. Partiamo dall’inizio, da quando è nata la tua passione per la chitarra…

Andrea Braido: Il mio primo strumento è stato la batteria. La curiosità per la chitarra è nata proprio da dietro le pelli, nel senso che vedevo il chitarrista che si contorceva mentre faceva gli assoli e pensavo a quanto fosse figo quel modo di vivere lo strumento. Ci sono stati poi due momenti chiave che mi hanno portato alla chitarra; il primo quando mia sorella un giorno mi portò a casa una chitarra Eko dicendomi che a lei facevano male le dita e lasciandola dunque a me. Il secondo quando un amico pasticcere, appassionato di Hendrix, mi suonò Voodoo Child con la sua Fender Telecaster e mi fece vedere la fisicità dello strumento. Ne rimasi davvero colpito… 

Iniziai a suonare senza sapere nulla, usando la chitarra come fosse una batteria. In poco tempo imparai un bel po’ di accordi, inclusi quelli con il barré. Le persone rimanevano impressionate dalla mia velocità di apprendimento. Non dimentichiamo che io da batterista avevo già maturato molta esperienza e cultura in fatto di ascolti; Hendrix, Emerson, Lake & Palmer, Aria, Le Orme, Chicago…ascoltavo musica con tanta chitarra dentro, quindi diciamo che già queste cose mi frullavano in testa e aspettavano il momento di uscire. Il blues mi è venuto fuori in maniera molto naturale. A 13 anni già suonavo alcune parti di Machine Head dei Deep Purple. Poi un amico mi disse “Prova ad ascoltare questo” e mi diede Elegant Gypsy di Al Di Meola

Conoscevo di nome Al perché lo avevo ascoltato con i Return To Forever di Chick Corea, ma non avevo mai sentito nulla di suo. Assoli feroci, velocissimi con un’aura spagnoleggiante…mi si accese qualcosa dentro. In quel disco poi ci sono musicisti pazzeschi come Anthony Jackson, Steve Gadd, Jan Hammer

Un altro snodo cruciale fu quando ascoltai Birds Of Fire della Mahavishnu Orchestra con John McLaughlin. Copertina bellissima e disco ricco di accordi particolari, arpeggi dispari, tonalità contrarie. Arrivai poi a George Benson, quello degli anni ’60, molto blues-jazz. Iniziai ad unire queste influenze, prima spontaneamente poi iniziando a studiarne la teoria che ci stava dietro. Suonavo dalle 4 alle 6 ore al giorno, anche perché la chitarra rispetto alla batteria potevo suonarla anche alle 2 di notte senza dar fastidio. In poco tempo ho raggiunto risultati di tutto rispetto che stupivano molto chi mi stava intorno. Quando amo una cosa sono un mastino, non mollo fino a che non raggiungo l’obiettivo. Ad esempio Lazy dei Deep Purple l’ho studiata alla nausea; c’è tutto Ritchie Blackmore lì dentro…tecnica, blues…geniale! 

Planet Guitar: Mi collego all’importanza dello studio nel percorso di un musicista per chiederti cosa serve, oltre a questo, per diventare un musicista di alto livello e che cosa manca in questo momento storico a chi suona?

A.B. : Una delle cose che sono felice di aver vissuto e che ho sempre cercato il più possibile è l’esperienza diretta sul campo. Suonare con altri musicisti, fare jam session, registrare…mi buttavo in ogni tipo di situazione che potesse farmi fare esperienza.

Un altro aspetto importantissimo è superare l’approccio imitativo tipico dell’adolescenza. Vedo ragazzi che si “gasano” perché suonano l’assolo di quello o quell’altro chitarrista (peraltro quasi sempre gli stessi). All’inizio del percorso va benissimo, ma poi devi tirare fuori il tuo. Stare in una fase imitativa per sempre non ti farà diventare un musicista vero. Esprimersi fa parte del nostro essere umani. Io imitavo Al Di Meola in modo incredibile fino a quando ho detto: “basta, non voglio suonare ogni cosa come lo farebbe lui”.

Un’altra cosa importante è l’autocritica e in generale la mancanza di un insegnamento oggettivo e sincero. Insegnare è una grossa responsabilità. Non bisogna illudere, anche perchè se qualcuno ha qualcosa in più lo si vede da piccoli, prima di aver avuto un indottrinamento!

Le delusioni e i fallimenti portano a qualcosa di buono, mentre oggi si pensa solo ad evitarli, a dire “sei bravo” anche quando non è vero. I miei insegnanti erano molto severi, mi bastonavano e se qualcosa non andava bene me lo dicevano senza troppi giri di parole. 

Planet Guitar: Nel mondo musicale oltre ai musicisti, agli artisti, ci sono tante figure che gravitano ed hanno un peso importante come promoter, organizzatori e media in generale. Che idea ti sei fatto a riguardo nella tua lunga carriera?

A.B. : Ci tengo a precisare che ciò che dico non è la verità assoluta ma solo il frutto di esperienze vissute; non ho nessun secondo fine quando parlo se non quello di raccontare il mio vissuto.

Potrei iniziare dicendo che il palco, il brivido dello stage è un miele che tanti vogliono assaggiare. Il problema è che in pochi possono farlo, perché pochi ne hanno le capacità!

Negli ultimi anni si sta banalizzando molto la figura del chitarrista. Vedo tanti che imitano ad esempio il suonare un assolo, dal presentatore al comico e questo a me da fastidio perché significa denigrare tutto ciò che sta dietro al suonare; soprattutto con la chitarra che è particolarmente complicata. Penso che banalizzare uno strumento musicale non avvicini le persone alla musica perché il messaggio è “Guardate anche io lo so fare senza far fatica”.

Per non parlare di quelli che pensano di saper suonare e non ne hanno la minima cognizione; pensano di imitare ad esempio Gilmour sbagliando timing, suono…bisogna far funzionare le orecchie ed allenarle!

Ci sono poi quelli che parlano solo della vita degli altri. Per carità fa piacere ascoltare la storia dei Beatles, dei Led Zeppelin ma non si può sempre cadere negli stessi argomenti. Oppure raccontare che Hendrix “quella volta con quella chitarra…”, ma chi se ne frega mi viene da dire… I dischi sono il vero lascito degli artisti, non vedere video dove bruciano la chitarra o suonano con i denti! Ad esempio il film su Hendrix mi ha deluso perché parla pochissimo di musica, così come quello su Miles Davis. Viene spostata l’attenzione su aspetti che non c’entrano nulla con la loro arte. 

In generale si è abbassato molto il livello qualitativo della musica a causa di personaggi mediocri che hanno la presunzione di parlare di musica e non sono né musicisti né produttori. Hanno un potere mediatico che sfruttano a loro piacimento, ma poi io in studio di registrazione non li ho mai visti. Ognuno ha il suo mestiere e veder esprimere giudizi a chi non ne ha nessun diritto per mancanza assoluta di competenza mi da fastidio. La vedo come una grande mancanza di rispetto. La musica, come ogni disciplina, ha delle regole che vanno rispettate e se vuoi stravolgerle le devi conoscere molto bene. 

Un altro aspetto che mi sta a cuore è la mancanza di supporto ai musicisti italiani. Non amo l’esterofilia che dilaga e porta sempre a chiamare musicisti stranieri. C’è questa idea che l’americano è figo a prescindere e questo è sbagliato e pericoloso. Io l’ho vissuta in prima persona; quando ho fatto il primo tour di Vasco Rossi (Fronte del palco) tutti pensavano che fossi americano. Non credevano che fossi italiano perché nel loro modo di pensare il chitarrista italiano non suonava in quel modo. Dobbiamo cambiare questo pensiero ricorrente se vogliamo tornare ad avere un’autorità nel mondo. Negli anni ‘70 in TV avevamo ad esempio Mina e come ospite Louis Armstrong che cantava in italiano! C’era un rispetto diverso che poi è stato annientato solo in funzione dell’artista straniero, portato su un palmo di mano. Di musicisti italiano con dei numeri ne abbiamo tanti, valorizziamoli!

Vorrei che si uscisse dall’idea che in Italia ci sia solo calcio, cibo e moda; gli italo americani hanno dato un contributo incredibile alla grandezza della musica oltreoceano e questo non va dimenticato. 

Planet Guitar: Sappiamo che hai scritto un libro intitolato Energy Life. Ce ne parli?

A.B. : È un libro corposo di più di 500 pagine. Sono riuscito a farlo grazie all’aiuto di un amico di Brescia, Cristian Bressanelli, che mi ha aiutato a mettere in ordine tanti anni di vita e non solo. Ci sono i miei pensieri sulla musica e sull’ambiente musicale ed è stata l’occasione per chiarire alcune leggende metropolitane sul mio conto inerenti al mio rapporto con alcuni artisti con cui ho lavorato. Ad esempio c’è questa storia che Vasco Rossi non mi avrebbe più chiamato perché sul palco ero troppo ingombrante e gli portavo via spazio…nel libro faccio luce sul perché ad un certo punto mi sono staccato da un certo tipo di realtà musicali.

Ho cercato anche di nobilitare il lavoro del musicista che spesso viene trattato con superficialità e mancanza di rispetto. La libertà mentale che ho come musicista non la cambierei con nessun altro mestiere. 

Racconto anche delle audizioni che ho fatto…

Planet Guitar: Raccontacene una!

A.B. : Le ho raccontate spesso… Una che non mi è capitato di citare spesso riguarda le prove con Zucchero nel 1990. Io venivo da un tour con Francesco Baccini dove ero stato anche produttore artistico del disco Pianoforte non è il mio forte, un album molto gratificante. Poi avevo fatto San Siro e lo stadio Flaminio con Vasco, dischi in studio con Raf e Gatto Panceri… Insomma un sacco di cose! In autunno mi arriva una telefonata nella quale mi propongono il tour europeo di Zucchero. 

La cosa mi interessava… C’era Lele Melotti con il quale avevo suonato spesso e il fonico era lo stesso di Baccini. Vado alle prime prove e tiro fuori il meglio di me! Mi si avvicina Zucchero e mi dice “Tu suoni sempre così veloce? Stai calmo.” e io pensai “Cosa vuole questo? Mi hai chiamato, sai come suono e mi chiedi di stare calmo?” [ride]. Poi ho capito cosa intendeva e sono entrato di più nella sua musica.  

Dopo la prima data a Londra ebbi una bella soddisfazione perché mentre ero in hotel suonò il telefono ed era Paul Martinez -bassista inglese con il quale suonai nei due stadi di Fronte del palco– che voleva complimentarsi con me dopo aver assistito allo show. Dopo Londra a sorpresa uscirono le due date a Mosca, entrate poi nella storia e che ho descritto dettagliatamente nel libro. Ho deciso di pubblicarlo con Andromeda Production, che cura anche altre mie attività, su Amazon sia come formato cartaceo che come E-book. 

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Planet Guitar: In questi anni ti abbiamo visto con diverse chitarre. Sappiamo che sei affezionato a Les Paul e Stratocaster…parlaci del rapporto con queste due chitarre.

A.B. : La Stratocaster è una chitarra che ho adottato per un discorso di ammirazione verso dei musicisti che sono stati miei maestri: Hendrix, Blackmore, Jeff Beck e anche Van Halen. Così quando ero ancora agli inizi mi comprai una Ibanez che imitava perfettamente una Strato sunburst con il palettone e su quella chitarra mi sono fatto le ossa. La prima vera, grande chitarra che acquistai in seguito fu una Fender The Strat bianca alla quale feci mettere un PAF Di Marzio al ponte. Con quella chitarra suonai nel disco Sedia elettrica di Pierangelo Bertoli, in studio con Nicolette Larson, Baccini e Patty Pravo e live con Vasco.

Dopo aver installato un Floyd Rose la riportai alla forma originale perché preferisco il suono del tremolo tradizionale. Dopo è arrivato il momento Gibson, prima con la SG e con qualche Les Paul Custom che però non mi entusiasmano per via del peso e del suono troppo scuro. Ho usato anche ES-175 ad esempio con Mina, ES-135 ed ES-335. Poi è arrivato il periodo Paul Reed Smith, con un contratto da endorser che è durato dieci anni. Sono stato anche a casa di Paul e ho provato delle chitarre pazzesche! La cosa che amo di queste chitarre è l’essere una via di mezzo tra Fender e Gibson con la loro scala ibrida e i pick up splittabili.

Ci tengo a dire che sono sempre stato anche un sostenitore di marchi italiani. Ho usato Manne nei primi anni ‘90 ad esempio con Eros Ramazzotti in un tour mondiale e Frudua per ben sei anni. Sono consapevole che non è facile convincere qualcuno a comprare una chitarra italiana soprattutto perché il mercato dell’usato predilige e non poco i grandi brand americani. 

Fender 69 Strat OLW Journeyman Relic

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PRS Custom 24 CH

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Planet Guitar: Hai collaborato con tutti i più grandi artisti della musica italiana. C’è qualche musicista che ti andrebbe di menzionare perché pensi che ti abbia dato qualcosa in più?

A.B.: Farei un distinguo fra cantanti e musicisti. Per quanto riguarda i primi credo che mi abbiano chiamato perché volevano qualcosa di Andrea Braido. Penso di essere riuscito sia in studio che dal vivo a lasciare la mia impronta indelebile. Vorrei citare un’altra cosa, falsa, che esce spesso; molti dicono che con Vasco io esagerassi e che volessi fare più del dovuto. In realtà quello che facevo mi era stato espressamente richiesto direttamente da lui! Voleva che esagerassi, che espandessi al massimo determinate parti… Voleva quel tipo di chitarrismo e sapeva che io glielo potevo dare. 

Anche con Mina è stato molto stimolante perché a volte registravamo tutti insieme senza troppe cose prestabilite. Mi potevo esprimere e vivere la musica come piace a me.

Sicuramente voglio ringraziare tutti i musicisti che hanno lavorato con me ai miei progetti. Ognuno di loro ha avuto da me il massimo e loro hanno sicuramente contraccambiato donandomi la loro arte. C’è sempre stata una grande energia e un ottimo feeling!

Planet Guitar: Io ti ringrazio per questa bellissima ed utilissima chiacchierata Andrea!  

A.B.: Grazie a voi, è stato un piacere!

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Matteo Bidoglia