Come dice proprio una delle sue più celebri canzoni, “You’ve Got a Friend”, Elio e le Storie Tese hanno un amico. Un amico speciale con cui hanno condiviso lo studio e il palco per registrare alcune pagine indimenticabili della loro carriera. Un artista geniale, umile e schivo con una passione infinita per la musica, che più di una volta gli ha salvato la vita: James Taylor.
First Me, Second Me anticamera di un’esibizione memorabile
Le affinità elettive di Rocco e James
Forse nemmeno gli Elii stessi avrebbero pensato nella loro carriera di stabilire una forte partnership con un personaggio particolare come James Taylor, geniale songwriter capace di toccare il cuore di milioni di persone con le sue canzoni intime e appassionate, che trasudano così tanti brandelli di vita vissuta, dalle gioie più profonde ai momenti di sconforto e sofferenza, con grande realismo, sincerità e, talvolta, un pizzico di ironia. Tuttavia, come successo con Santana, una serie di coincidenze consentono l’incontro tra l’ensemble italiano e l’artista a stelle e strisce.
Galeotto stavolta fu il fatto che Taylor sul finire del 1995 si trovasse nel medesimo studio di registrazione di Rocco Tanica, e che quest’ultimo fosse lì nello stesso momento del suo idolo. “Ho imparato a suonare il pianoforte ascoltando lui pizzicare la sua chitarra” racconta molto tempo dopo il loro primo incrocio Tanica in un nuovo faccia a faccia con Taylor nel 2012, durante una puntata di un programma di Radio Deejay. E in effetti, come confermato anche dal cantautore americano, felice di rivedere l’amico italiano, il suo approccio alle canzoni è pianistico, pur se legato indissolubilmente alla sua sei corde acustica. Tanti brani famosi, dall’iniziale Something in the Way She Moves a Mexico e persino Secret O’ Life ben si riproducono con entrambi gli strumenti a dimostrazione di una mente aperta alla creazione di musica con più sfaccettature e arrangiamenti.
La particolarità del brano
Scritto da Rocco Tanica ed Elio, è diviso in due sezioni (come si può intuire dal titolo), First Me e Second Me. Il testo di entrambe è una spassosa traduzione, vocabolo per vocabolo, dall’italiano all’inglese, ovviamente piena di grossolani errori grammaticali. La seconda parte si riallaccia a una vecchia canzone inedita, The Peak of the Mountain, scritta a metà anni Ottanta, ancor prima del debutto discografico, ma eseguita spesso dal vivo con esiti esilaranti; qui è cantata con la solita classe ed eleganza da Taylor, il quale riesce a trasformare una canzone con il tipico marchio di fabbrica di EelST in un suo pezzo, non fosse per le liriche surreali.
James Taylor incontra Elio e le Storie Tese, la magia del concerto insieme a Milano
Il rapporto si consolida
Comincia a scorrere il 1996, per la precisione siamo a fine marzo quando viene pubblicato Eat the Phikis, ove è inclusa First Me, Second Me, ma l’idillio tra Taylor e la band italiana non si conclude lì. Rimane troppo forte l’ammirazione reciproca.
Elio e compagni nutrono una profonda stima per quell’uomo con un incredibile talento che negli anni non ha mai perso lo smalto, un artista sempre aggiornato dallo stile sofisticato e allo stesso tempo familiare, con produzioni che hanno spaziato dal folk al country, toccando rock, soul, pop e blues. James Taylor, dal canto suo, vede di buon occhio quello stuolo di ragazzi dall’aria immatura, tuttavia profondamente innamorati della musica, con notevoli doti da strumentisti e con una capacità compositiva vicina idealmente a Frank Zappa.
Così, poco tempo dopo arriva per entrambi un’occasione imperdibile: il cantautore americano medita di suonare in Italia insieme alla figlia Sally, e decide di farsi accompagnare dagli Elii al completo, con l’aggiunta del prezioso percussionista Pacho, spesso da loro utilizzato a quei tempi nelle performance live. Il 29 settembre 1997, al Propaganda di Milano, grazie al programma Night Express l’occasione è ghiotta per immortalare la loro esibizione dal vivo. Tv e radio godono della messa in onda di questo speciale concerto.
La scaletta
La grande esperienza sul palco di Taylor si tocca con mano nella meticolosa scelta della setlist, un’altalena di emozioni. Si parte subito forte con Stand and Fight, gemma del bellissimo e sottovalutato Dad Loves His Work (1981) per poi toccare il cuore con la ballata Enough to Be on Your Way, tratta dall’allora appena uscito Hourglass.
Gli animi si surriscaldano con Never Die Young, dall’omonimo album dell’88, arrivano la pace e serenità del classicone You’ve Got a Friend, uno dei suoi pochi brani famosi a non essere autografi come la seguente tonitruante How Sweet It Is (To Be Loved By You). C’è tempo per un momento intimo con la nuova Line ‘Em Up e i motivi storici You Can Close Your Eyes e Shower The People, infine si chiude alla grande con le infuocate Steamroller Blues e Mexico, che consentono a Cesareo (stratosferico nei suoi assolo con la Ibanez!), Tanica, Faso e Feiez di esaltarsi.
La combinazione italo-americana funziona alla grande e lo show ne giova: l’entusiasmo degli Elii è contagioso, James e Sally offrono una performance gioiosa, perfettamente a loro agio e particolarmente stimolati da un pubblico caldo.
E pensare che Taylor ha già sulle spalle una carriera trentennale, una vita tormentata vissuta per tanto tempo con il piede sempre sul pedale dell’acceleratore, spesso a un passo dal baratro.
L’adolescenza inquieta e i primi spiragli per una vita in musica
Nato a Boston nel 1948, cresciuto a Chapel Hill nella Carolina del Nord, James Taylor vive un’infanzia contrastata, tra paura ed ansie ereditate in parte dal burrascoso rapporto con il papà, luminare della medicina costretto ad assentarsi parecchio per il suo lavoro, lasciandolo in balia di frustrazione e odio per questa situazione. Fin da piccolino James sembra indipendente: riesce, come farà anche più avanti nei periodi di crisi, a starsene in disparte, a chiudersi nel suo guscio.
Ma quando viene spedito a scuola, lontano dai genitori, affiora il suo grande bisogno di connettersi con loro e la cosa diviene critica e traumatica, a causa anche dei problemi di alcolismo del padre e del poco aiuto ricevuto dalla madre. La musica si trasforma subito in un rifugio per l’anima in pena del ragazzo. Comincia a prendere lezioni di violoncello, poi passa alla chitarra e a 14 anni compone la sua prima canzone.
Purtroppo la difficoltà a tenersi sano mentalmente caratterizza gran parte dell’adolescenza: un intenso sconforto, associato a malcelata debolezza interiore, sfocia in profonda depressione con tendenze suicide e lo costringe anche al ricovero in un ospedale psichiatrico. La sua forza è una passione mai diminuita nello scrivere brani. Strimpellare la sua amata sei corde lo aiuta a contenere questo male di vivere, e riesce pure a diplomarsi. Ora, siamo nel ’66, il ragazzo è pronto per il grande salto e si trasferisce a New York, dove forma il primo gruppo, i Flying Machine, insieme al compagno di mille avventure Danny Kortchmar.
Le prime difficoltà a New York, Il viaggio a Londra e l’esordio discografico
Non tutto, ovviamente, è rose e fiori e anche a Gotham city, nonostante un’intensa attività concertistica al Night Owl Cafe nel mitico Greenwich Village, le vecchie problematiche di Taylor riemergono, complice una nuova e grave dipendenza, quella da eroina. Il ritorno in Carolina è una vera salvezza per un devastato James e un successivo viaggio a Londra cambia le sorti dell’eterno insoddisfatto. Una serie di coincidenze lo mette in contatto con Peter Asher, chitarrista, cantante e autore famoso nel duo Peter and Gordon. Asher è anche talent-scout per la Apple, nuova casa discografica dei Beatles e in quattro e quattr’otto si materializza il sogno di una vita, con McCartney e Harrison in carne e ossa pronti a partecipare alla registrazione del primo omonimo album, nel 1968.
Il successo e gli eccessi
James Taylor in quel periodo è proprio un paradosso, uno strano miscuglio di dipendenza e indipendenza, però i suoi occhi si accendono e il suo cuore brilla quando immagina, prospetta nuovi orizzonti; è un sognatore, sogna tantissimo di essere dove non è, di fare cose che non riuscirà mai a realizzare, di vivere situazioni mai vissute. E questa è un’altra sua forza, che si sprigiona in canzoni autografe, ma che inseriscono lampi fantasiosi, una specie di speranzoso e curante distacco dalla realtà. Anche le melodie e il canto ricevono da questo modus operandi una sfumatura malinconica e meraviglie come Something in the Way She Moves e Carolina in My Mind colpiscono l’animo inquieto di George Harrison, il quale utilizzerà il titolo della prima come inizio di una delle sue più belle composizioni di tutti i tempi, Something.
Gli anni Settanta portano in dote una sfilza di album di successo e pregiate collaborazioni, con Sweet Baby James e Mud Slide Slim and the Horizons sugli scudi. Gorilla (1975) è un’altra vetta del periodo, in cui brillano, come special guests, star del calibro di Graham Nash e David Crosby, ai cori nella dolcissima Lighthouse (una delle gemme nascoste da riscoprire, con l’istrionico Randy Newman all’hornorgan) e in Mexico, opener allegra, visionaria, ironica e spensierata, decisamente in contrasto con il resto del materiale, più cupo e nostalgico.
Mexico è inoltre il singolo di riferimento e diventa una grande hit, un evergreen insieme alla famosa cover How Sweet Is (To Be Loved By You), un classico di Marvin Gaye proveniente dalla penna affilata del magico team Holland-Dozier-Holland, rappresentando la parte più elettrica ed energica del repertorio di Taylor. Le cose continuano bene, musicalmente parlando con almeno altri due dischi da ricordare come In the Pocket e JT, ma il peso sborsato a livello fisico e mentale è immane. Ricompaiono, lasciando senza scampo, gli spettri di droga e alcool a funestare il matrimonio con l’altrettanto celebre Carly Simon e il rapporto con i figli da lei avuti.
I tormentati Anni Ottanta e la rinascita
Non solo droga e alcool, anche un feroce ritorno di instabilità psicologica fanno pagare il loro pegno e la relazione con Carly Simon va rapidamente in frantumi. La convivenza fra due grandissimi artisti non è facile, tra invidie, personali carriere e gestione dei figli. Il libro che narra la storia del loro legame è ormai giunto all’ultimo capitolo, in Taylor si percepisce tutto il dolore e la voglia di cambiare il finale, cercando senza riuscirvi di aggiungere altre pagine felici. Ancora una volta la musica, in questo caso un album davvero sofferto come Dad Loves His Work consente perlomeno di evitare un ritorno alla pazzia convogliando in canzoni tali angosce, unite, come si accennava all’inizio, ai ricordi del padre e alla preoccupazione per i suoi bambini, Sally e Ben.
Sicuramente non è stato facile concepirlo, ma oggi questo lavoro, che ha da poco compiuto quarant’anni, suona fresco come non mai, nelle proprie irrisolte battaglie contro il tempo che deteriora ogni rapporto e determina nuove realtà, spesso peggiori di quanto si sperasse. L’iniziale Hard Times non fa che confermare tale ipotesi, ha un testo vagamente ottimista, ma si evince già chiaramente l’avvento di “tempi difficili”. Sembra rasserenante, invece, di primo acchito, la melodia della suadente Her Town Too, con il Fender Rhodes del mitico Don Grolnick ad accarezzare tutto il percorso sonoro, e il tocco di John David Souther, storico collaboratore degli Eagles, prezioso all’harmony vocal e nella stesura finale del pezzo, nel quale spicca anche il contributo dei chitarristi Waddy Wachtel e Dan Dugmore, altre presenze importanti dell’album. Le liriche sono invece malinconiche e allo stesso tempo dolcemente taglienti, prefiguranti un amore al capolinea.
Rimane probabilmente la traccia più famosa e straziante, che contribuisce a infondere nell’ascoltatore nostalgie e rimpianti che mai avrebbe creduto di provare. Anche altre composizioni di rara bellezza come I Will Follow e Only For Me certificano l’alta ispirazione dell’artista che riesce a trarre linfa creativa da una situazione di sofferenza che lo porterà a breve a percorrere da solitario il suo sentiero di vita, come tratteggiato delicatamente nella struggente That Lonesome Road, posta malinconicamente a chiusura dell’opera.
James Taylor e Carly Simon annunciano la separazione a Settembre 1981, sei mesi dopo la pubblicazione di Dad Loves His Work. L’autore di Carolina in My Mind ne uscirà distrutto, meditando pure il ritiro dalle scene. Saranno la gioia di scrivere nuove canzoni, il desiderio di imbracciare la sua amata chitarra a salvarlo e a dargli la forza di andare avanti. Incide così, seppur ancora molto sofferente, il piacevole That’s Why I’m Here (1985), dal titolo taumaturgico e un paio di canzoni da spappolare il cuore, e rivive un periodo di costante successo, avvalorato da un’intensa attività live e piccoli capolavori come New Moonshine (1991), trainato dal bellissimo singolo Copperline e Hourglass (1997), che prende forma nel periodo in cui nasce l’amicizia con EelST.
Le chitarre di James Taylor
La musica come rifugio, un’ancora di salvezza che ha aiutato Elio e le Storie Tese a superare il momento più difficile, quello della scomparsa di Feiez, e James Taylor a superare le tragedie familiari e sentimentali. Per il songwriter americano la chitarra, in particolare, è lo strumento che ha significato la totalità della sua esistenza mentre stava perdendo tutto il resto. Dalla prima acquistata a dodici anni, in un negozio della Schirmer Music Company alla mitica Gibson J-50, usata dal ’65 per un decennio e quindi ascoltabile in tutti i pezzi dell’epoca, ovvero in hit del calibro di Carolina in My Mind e Fire and Rain. E poi Whitebook, Takamine e Yamaha fino al dolce approdo a fine anni Ottanta all’ormai inseparabile Olson.
Recentemente Taylor ha riscoperto anche le chitarre elettriche e lo si è visto nell’ultimo tour del 2022 con una bellissima Telecaster!
Fender 60 Tele JRN MN SGF
Stabilità familiare, voglia di raccontarsi e di suonare ancora a lungo: la saggezza acquisita dall’One Man Band
Il nuovo secolo porta in dote una lunga serenità mai provata (gli anni novanta sono in parte funestati dal divorzio dalla seconda moglie, l’attrice Kathryn Walker), una relazione stabile con Caroline “Kim”Smedvig, direttrice di marketing per la Boston Symphony Orchestra e la nascita dei loro due figli gemelli, Rufus e Henry. Non mancano uscite discografiche di rilievo, a confermare classe, eleganza e ispirazione.
October Road (2002) è un’opera di ampio respiro con lampi di raffinato folk rock, ove con timidezza si evidenziano cenni autobiografici e barlumi di felicità, mentre il live One Man Band di cinque anni più avanti certifica la sua grandezza sul palco anche senza tanti fronzoli, semplicemente lui, la sua Olsen e l’accompagnamento alle tastiere dell’inseparabile Larry Goldings. Rimangono certamente da ricordare il recente American Standard (2020), che si aggiudica pure un Grammy, e la continua voglia di uscire dalla routine della vita a Lenox, Massachusetts, ove risiede, per andare in tour, toccando spesso anche l’Italia (tutte le volte che arriva nel Belpaese non si stanca di citare i suoi amici Elio e le Storie Tese, definiti “Grandi musicisti!”).
Il legame con la musica per la famiglia Taylor continua con grande passione: oltre ai figli Sally e Ben, ormai ben avviati nel mondo dello spettacolo, anche Henry si dedica con amore al canto e alla chitarra e da qualche anno fa parte della band del padre.
Due grandi songwriter a confronto
La connessione con la musica per James Taylor significa pure condivisione e collaborazione con gli artisti più stimati. La partnership con il grande autore di cui andremo a parlare incarna perfettamente il desiderio di collegarsi a chi ha attinto dalle stesse radici seppur vivendo al di là dell’oceano, di confrontarsi con un altro grande sognatore, che con una chitarra in mano ha formato uno dei gruppi di maggior successo degli anni ottanta, prima di intraprendere una carriera solista vicino alle corde dell’artista nato a Boston, con un bagaglio di tradizione folk rock su cui lavorare in comune. Ecco comparire l’ombra e la sagoma di Mark Knopfler insieme a una delle più belle canzoni del genere incise a inizio secolo. Stay tuned.
To be continued…
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