Non esiste miglior antidepressivo della musica. I cuori infranti cercano rifugio e sollievo nelle note di una canzone, chi ha subito un’ingiustizia vi trova conforto e forza per ribellarsi. Uno dei generi fortemente popolari e rivoluzionari, il blues, nelle diverse declinazioni ammesse dal loro stile pungente e coriaceo, rappresenta la pagina più importante di Warren Haynes e Joe Bonamassa. Due chitarristi fenomenali dal tocco divino e trascendentale, capaci di sostenere la conversazione al più alto livello, di cogliere ogni riverbero sonoro, ogni sfumatura ritmica e armonica, ogni suggerimento espressivo.

E questo, insieme alla cura e alla genialità dei dettagli, è il segno distintivo dei grandi maestri, di quegli artisti che smuovono qualcosa nel profondo, e spingono a non perdersi d’animo e a lottare. Per la serie “Crossroads” andiamo a scoprire come è nata questa profonda amicizia che ha permesso una serie di collaborazioni da lasciare a bocca aperta tutti gli amanti delle sei corde.

Warren Haynes e Joe Bonamassa sul palcoscenico insieme nel 2021 per Love Rocks NYC © Sipa USA / Alamy Foto Stock

Due chitarristi con il fuoco dentro

La storia del primo incontro

“Nel 1997 ho firmato con Sony Music e stavamo cercando delle canzoni. Era l’epoca del disco con Tom Dowd e conoscevo Warren per aver lavorato con lui quando ero nella band Bloodline, cinque o sei anni addietro. Haynes mi ha mandato tre o quattro brani che aveva scritto molto tempo prima, quando era a Nashville. Heartaches era uno di questi e mi colpì immediatamente.”

-Estratto da intervista a relix.com, 5 settembre 2024.

Si può chiamare sorte, fato, destino: dal punto di vista filosofico vi sono state tante elucubrazioni su come e per quale motivo le cose accadano proprio in un certo modo. Forse non tutto capita per semplice combinazione, probabilmente una serie di coincidenze hanno un significato. 

Spesso nella musica, infatti, tanti avvenimenti ritenuti fortuiti portano a vicende e intrecci incredibili, ed è il caso della storia di Joe Bonamassa e Warren Haynes.

Il bambino prodigio di Utica, all’epoca quattordicenne, forma i Bloodline con Berry Oakley Jr., figlio dell’indimenticabile bassista dell’Allman Brothers Band e grazie a questa situazione entra in contatto con l’autore di Soulshine, il quale vede subito un futuro negli occhi del ragazzino. Con la generosità che da sempre lo contraddistingue, gli propone una bellissima ballad, intitolata If Heartaches Were Nickels. Da quel momento nasce un’affinità elettiva incredibile e una lunga serie di casualità sorprendenti cementano una profonda amicizia tra i due. Nel maggio 2013, inoltre, arriva anche l’opportunità che tutti aspettavano: un meraviglioso duetto proprio su quella canzone, al mitico Beacon Theatre di New York.

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Gli intrecci continuano e l’amore spassionato per Albert King si trasforma in una cascata di emozioni

Riavvolgiamo ora un attimo il nastro. Galeotta fu quella canzone, senza dubbio, loro fiore all’occhiello anche in show futuri, ma i nostri due guitar hero uniscono le forze giĂ  alcuni anni prima. Ciò avviene non solo grazie alla passione comune per Albert King, la cui cover Don’t Burn Down That Bridge figura tra le tracce del disco d’esordio di Bonamassa, accanto proprio a If Heartaches Were Nickels.

Nel 2007, infatti, vi è già un’occasione per jammare insieme su Oleo, un classico dei mitici Cactus, riunitisi in quel periodo. Due anni dopo Joe si unisce ai Gov’t Mule durante un loro show a Chicago per Sco-Mule e per una prima versione del pezzo che rappresenta l’apice dei loro intrecci, quella Breaking Up Somebody’s Home scritta da Al Jackson Jr. e Timothy Matthews, originariamente registrata da Ann Peebles (1971) e magistralmente interpretata e pubblicata su singolo da Albert King quando scorreva il 1972.

L’apoteosi avviene comunque il 1° settembre 2011, quando Warren si esibisce con Joe alla House of Blues di Los Angeles. Due leggende della chitarra armate di Les Paul si sfidano a colpi di riff e licks. Una serie di assoli al fulmicotone, un’empatia evidente e un call and response da brividi tra i due… 

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Seymour Duncan Joe Bonamassa Amos Set Black

Seymour Duncan Joe Bonamassa Amos Set Black

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L’amore per King non finisce qui: quel giorno c’è tempo anche per una spiritata rilettura di Born Under a Bad Sign, per la quale si aggiunge Brad Whitford, mentre le interpretazioni in coppia di Breaking Up Somebody’s Home proseguiranno fino ai giorni nostri. Un brano davvero pieno di intrecci, inciso, fra i tanti, anche da B.B. King nel 1975, e che ha visto Haynes e Bonamassa suonarlo entrambi (separatamente) con Kenny Wayne Shepherd. Inoltre, i nostri due giganti della sei corde, così fortemente legati a quella composizione, sfruttano l’occasione di Heavy Load Blues e Live at the Greek Theatre per registrarne nuove riletture.

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Altri “magic moments” davvero curiosi del duo

Quella data al Beacon Theatre di maggio 2013, oltre alla già citata If Heartaches Were Nickels, regala due standard blues da groppo in gola, Crossroads e Look Over Yonders Wall. Tuttavia, un’altra grande passione lega Warren a Joe: Tommy Bolin. 

Lo storico chitarrista, anima di gruppi come Deep Purple e James Gang, viene ricordato nel 2012 in un progetto molto interessante, Great Gypsy Soul, dove alcuni dei più famosi virtuosi contemporanei  dello strumento sovraincidono del materiale inedito di Bolin. 

Non possono mancare Bonamassa e Haynes, presenti anche in una stessa traccia, Marching Bag (Movement 4), e il sodalizio continua successivamente con un concerto meraviglioso, tenutosi a Denver (2019), dedicato all’artista scomparso. Red Baron e Stratus fanno parte della setlist e per la circostanza Bonamassa imbraccia la Gibson Les Paul Standard del 1960 che Tommy ha suonato negli Zephyr, nei Deep Purple e nei suoi album da solista.

Gibson Les Paul Standard 60s Triburst

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Un’amicizia incredibile, una totale sintonia ricca di spunti artistici, che vede pure Warren ospite di un episodio di Live from Nerdville, una serie di interviste di Joe rivolte alle leggende della musica. Una chiacchierata informale, genuina, ove si identificano, parafrasando in parte i Blues Brothers, le aspirazioni, le passioni e gli amori di questi due formidabili personaggi, “in missione per conto del blues”.

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Le influenze comuni

Diciassette anni di differenza. Warren potrebbe essere lo zio o un fratello maggiore di Joe, ma nella musica, grazie al cielo, l’età non conta. Così, tra le influenze comuni convivono i grandi “vecchi”, da Son House, Sonny Boy Williamson, Elmore James, Muddy Waters e Howlin’ Wolf, passando per i tre King, B.B., Albert e Freddie, fino alla “nuova” generazione composta da Eric Clapton, Jeff Beck, Peter Green, Jimi Hendrix e Billy Gibbons.

Risulta molto importante in questo paragrafo citare inoltre uno dei mentori di Bonamassa, Danny Gatton, a cui Haynes era molto legato: per una serie di circostanze sfortunate non riescono mai ad incontrarsi di persona, ma l’ex chitarrista dell’Allman Brothers Band suonerà al concerto in suo onore, contribuendo a raccogliere fondi per la sua famiglia. Generosità e irrequietezza, qualità che spingono a non fermarsi mai e continuare a suonare senza pause, sono valori che contraddistinguono Warren e Joe. E nei prossimi paragrafi ci renderemo conto di quanto l’ex enfant prodige sia stato prolifico.

Joe Bonamassa con la sua Gibson ES 335 on stage © Anne-Marie Forker / Alamy Foto Stock

Lo scenario e gli esordi di Joe

Joe Bonamassa nasce l’8 maggio 1977 a New Hartford e cresce a Utica, nello stato di New York, a un’ora e mezza d’auto dalla Grande Mela, NYC, la città ove tutto è possibile. Quest’ultima frase riecheggia e risulta profetica per un bambino che, figlio di proprietari di un negozio di dischi, inizia a strimpellare una chitarra quando ancora non va alle scuole elementari. Un vero prodigio, circondato dalla musica blues di ogni tipo, dagli artisti storici neri degli anni Quaranta e Cinquanta, alla british explosion, fino ai Jethro Tull e alla novità (per quell’epoca) Stevie Ray Vaughan. 

A dodici anni è già leader di una band e funge da opener per B.B. King, uno dei suoi mentori insieme al già citato Gatton. Suo padre, di origini italiane, è sempre entusiasta e al suo fianco: gli regala una Stratocaster rossa, battezzata Rosie, sulla quale evidenzia le sue doti incredibili. 

Joe è un mostro di bravura e il passaggio dai Bloodline, gruppo formato da figli d’arte (oltre a Oakley vi sono pure Waylon Krieger, pupillo di papà Robby dei Doors ed Erin Davis, ultimogenito di Miles) al primo importante contratto discografico come artista solista si concretizza in un attimo.

A New Day Yesterday esce nel 2000, e all’aiuto, come abbiamo visto, di Warren Haynes, si aggiunge la presenza di special guests del calibro di Gregg Allman, Leslie West e Rick Derringer.

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L’incredibile prolificità in studio e live dell’ex enfant prodige

I dischi che lo innalzano a nuova star

Essere i primi della classe, i cosiddetti “secchioni” che non passano le risposte di un compito in classe è una delle spine nella rigogliosa rosa di Joe, forse fin troppo perfetto per essere vero e definito spesso, da pubblico e critica, “sapientino” arrogante e spocchioso. Eppure il chitarrista di Utica, ora da piĂą di vent’anni di stanza a Los Angeles, nella sua Nerdville, ha sempre dimostrato reverenza nei confronti dei suoi maestri e non ha mai mancato di dare il giusto credito alle cover da lui interpretate. 

A volte la musica offre stranezze difficili da commentare, come è veramente arduo fare un sunto sull’incredibile attivitĂ  dal vivo e in studio dell’ex bambino prodigio, diventato velocemente una realtĂ  della chitarra. Sicuramente sono da ricordare Blues Deluxe, Had To Cry Today, Sloe Gin e The Ballad of John Henry, che contribuiscono a innalzare lo status dell’artista a nuovo virtuoso della sei corde un po’ in tutto il mondo nella prima decade del nuovo secolo. E il conseguente Live at Royal Albert Hall con un paio di ospiti davvero speciali, Eric Clapton e Paul Jones, alimenta il mito del novello SRV, pur con tanti “se” e “ma” da parte dei detrattori, che lo ritengono senza feeling e presuntuoso. Joe, dimostrando grande saggezza, ha sempre preferito lasciar parlare, e tanto, la sua musica.

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Una vitalitĂ  senza fine

Descrivere infatti le uscite discografiche degli ultimi quindici anni del buon Bonamassa è un po’ come sfogliare la guida telefonica di Milano prima dell’avvento dei cellulari. Pagine e pagine di pubblicazioni sempre ispirate e sul pezzo, con l’aggiunta di annessioni a supergruppi (Rock Candy Funk Party e Black Country Communion), duetti e produzioni per altri artisti. A voler trovare un difetto si potrebbe parlare di bulimia musicale. 

Comunque sia, i bellissimi Blues of Desperation e Royal Tea (2020), le collaborazioni con Beth Hart, il quadruplo Tour de Force: Live in London meritano una menzione, senza dimenticare le collaborazioni con Oz Noy, Dion, Dave Mason e Peter Frampton. E in particolare è giusto ricordare Drive, una canzone che evidenzia la sua grande capacità di songwriter, al di fuori di tutte le influenze. Un pezzo che lo allontana dalle accuse di essere solo derivativo.

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Le chitarre e gli amici chitarristi di Joe

“Toglietemi tutto, ma non le chitarre!”. Non si sbaglia con Joe Bonamassa a parafrasare una storica pubblicità: virtuoso pazzesco, ma pure appassionato collezionista di questo magico strumento, tanto da superare abbondantemente i cinquecento pezzi. 

La Gibson è il suo riferimento, essendo in possesso di due Les Paul Goldtop del 1957, cinque Burst del 1959 e altrettante del 1960. 

Gibson Les Paul 57 Goldtop DB VOS

Gibson Les Paul 57 Goldtop DB VOS

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Gibson Les Paul Standard 60s UB

Gibson Les Paul Standard 60s UB

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Nel 2011, Joe realizza con il Gibson Custom Shop un ibrido tra la Les Paul e la Firebird: si chiama, con un colpo di genio, Gibson Bonabyrd. Sono da lui in utilizzo inoltre altre marche prestigiose, come Fender, Music Man, Chandler, Gretsch e, parlando di acustiche, oltre alle Martin ha spesso sfoggiato due Yamaha, una LJX36C e una LL16 a dodici corde.

Un amore sfrenato per le chitarre e per i chitarristi! Risulta impossibile citare tutti i titani dello strumento con cui si è interfacciato Bonamassa. Sicuramente Billy Gibbons, Little Steven, John Mclaughlin, Eric Johnson, Robert Randolph, Doyle Bramhall II, John Hiatt e il nostro Pino Daniele sono da aggiungere a quelli già menzionati in questo articolo, tuttavia le collaborazioni in studio e sul palco sono davvero innumerevoli e comprendono anche personaggi famosi per altri virtuosismi, da Jack Bruce a Alan Parsons.

Ma torniamo nuovamente agli incroci che rendono celebre la nostra rubrica. Ebbene, ne abbiamo uno davvero incandescente tra il caro Joe e un personaggio che con lacrime e sangue è riuscito a uscire dal tunnel e trovare una ragione di vita sul palcoscenico: stiamo parlando del grande Eric Gales. Crossroads, la serie unica e speciale di Planet Guitar sta per ripartire con un nuovo, intrigante episodio!

Stay tuned

To be continued…

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Alessandro Vailati