Per un grande chitarrista fare un assolo è sempre un momento speciale. E, da ascoltatori, si entra con anima e cuore nella sua musica, si può sentire che sta cercando di dire qualcosa, come se raccontasse una storia. John Mayer e Derek Trucks possiedono tale capacità di espressione, parlano tramite le loro sei corde, e nelle occasioni in cui si sono incontrati hanno evidenziato un’incredibile affinità elettiva. Musica e Sentimento: per la serie “Crossroads” andiamo a ripercorrere i loro incroci, soffermandoci in seguito sull’evoluzione artistica di Mayer, da idolo pop per ragazzine a guitar hero in missione per il blues.

© John Atashian – Rockstar Photography / Alamy Stock Photo

Anime gemelle al servizio della chitarra

Giovani di belle speranze

Anche se durati per poche stagioni, i Jammy Awards sono sempre stati una grande fonte di performance dinamiche e collaborative. È il caso dell’annata 2002, quando Robert Randolph & The Family Band irrompono sulla scena della Roseland Ballroom a New York City e si aggiudicano il premio come “New Groove Of The Year”. Nella stessa serata Randolph condivide il palco con altri due giovani di belle speranze: Derek Trucks e, sorpresa delle sorprese, l’ospite non annunciato John Mayer. Così, senza niente di precostituito, ma affidandosi all’incredibile estro e talento, nasce una portentosa jam session all’insegna di ritmo incendiario e chitarre infuocate. Il blues, il rock e tutta la loro tradizione rimangono in buone mani…

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Jack Frusciante “non è uscito dal gruppo”!

Il tempo, come sempre, passa veloce e arriviamo al 2007, un anno importante per John Mayer e Derek Trucks

Mayer ha consolidato la sua posizione di guitar hero, grazie al bellissimo Continuum e al conseguente tour di successo. I suoi “solo” intensi e sospesi, come sognati, furoreggiano dal vivo consacrandolo nuovo re della Fender Stratocaster. Da un lato è ormai acclamato per il suo impegno a realizzare in studio dischi ambiziosi dai toni sobri e riflessivi, dall’altro viene visto al pari di un bel ragazzo della porta accanto pronto a salire sul palco e a suonare la chitarra come pochi, riversando nei testi tutta la sua sensibilità. 

Trucks è al culmine della parabola della Derek Trucks Band, con l’intenso Songlines, le date live e un’incredibile maestria sfoggiata con la Gibson SG attraversando tutti i generi, dal blues alla musica indiana. E proprio in questo momento avviene il loro secondo incontro ufficiale. Un’inaspettata jam session con John Frusciante per un servizio del magazine Rolling Stone sui nuovi Guitar Gods li mette uno di fronte all’altro, ed è bellissimo vedere gli sguardi di ammirazione e soddisfazione fra i tre. Lo stupore dei due John (Frusciante non si perde un attimo e…sì, vuole restare in questo gruppo!) e l’umiltà di Derek sono il piatto forte di tale fantastica improvvisazione che ha il solo difetto di durare troppo poco.

Fender 63 Strat Relic MBPW BK

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Gibson SG 61 Standard Maestro VC

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Uniti, pronti alla chiamata di B.B.

La terza occasione per vedere John e Derek insieme capita cinque anni dopo, durante un concerto davvero speciale: all’Hollywood Bowl di Los Angeles si esibisce l’intramontabile B.B. King. La Tedeschi Trucks Band fungerebbe semplicemente da opener, tuttavia verso la fine del suo show, dopo The Thrill Is Gone, il padre di “Lucille” invita i coniugi Trucks sul palco tra l’entusiasmo del pubblico. L’intenzione è di eseguire Guess Who con questo ampliamento di formazione, ma le sorprese non sono finite. 

Un’ovazione della folla accompagna l’arrivo di Mayer e la lunga jam può cominciare, tra l’emozione di Susan e l’entusiasmo dei due chitarristi che si ritrovano a duettare insieme a uno dei loro eroi. Il risultato è qualcosa di indimenticabile, oltre venti minuti di suoni celestiali, sorrisi e l’apoteosi raggiunta con un groove trascinante, tra le battute di un B.B. senza freni, felice di condividere le sue canzoni con personaggi unici, impegnati sempre maggiormente a tenere alto e a rinnovare il blues, quel patrimonio universale da cui nasce la musica moderna.

“Per sempre giovani”: la sorpresa della collaborazione con David Ryan Harris

Gli anni scorrono rapidamente, come un fiume in piena, però la coppia Trucks/Mayer non perde i contatti e la stima reciproca. Ci sono i Crossroads Guitar Festival del mentore Clapton a tenerli vicini e, infine, una recentissima sorpresa, un altro duetto da scoprire e godere. L’istrionico David Ryan Harris, cantante, songwriter e chitarrista famoso per aver militato nei Follow for Now e nei Brand New Immortals, oltre che per la sua carriera solista e le collaborazioni con Dionne Farris e Richie Sambora, convoca entrambi per Forever Young.

Harris ha anche fatto parte della touring band di John Mayer ed è un attimo per lui coinvolgerlo in questa trascinante rilettura, pubblicata a giugno 2024, di un classico dei classici di Bob Dylan. La slide di Derek su questo brano storico è la ciliegina sulla torta. Ascoltare per credere!

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L’anima blues, la chitarra rock: storia delle influenze condivise

Jimi Hendrix e Stevie Ray Vaughan sono il riferimento imprescindibile per due ragazzi nati sul finire dei Settanta. Inoltre, in aggiunta ai padri putativi già citati nei precedenti paragrafi, si aggiungono gli altri due King, Freddie e Albert, e poi Otis Rush, Lightnin’ Hopkins e Buddy Guy

Anche i Rolling Stones, con i fraseggi e le chitarre distorte di Brian e Mick Jones e, naturalmente, Ron Wood, e i Beatles, soprattutto per le performance di George Harrison, del quale è adorata pure l’attività solista, sono le altre pietre miliari da cui hanno attinto i due guitar hero della nuova generazione. Andiamo ora a vedere il curioso percorso di John Mayer che, dopo aver toccato il successo con un soft rock lezioso e commerciale, si è totalmente immerso nella musica da lui amata in gioventù per poi riconcedersi solo a tratti alle esigenze delle case discografiche, puntando principalmente alla qualità in un mondo sempre più liquido, basato unicamente sull’apparenza e l’omologazione.

John Mayer con la sua amata PRS Silver Sky on stage Contributor © Anne-Marie Forker / Alamy Stock Photo


Dal pop per ragazzine a quella musica lenta che entra dritta nel cuore

Piccoli talenti crescono: l’esordio e il fragore del successo

John Mayer nasce il 16 ottobre 1977 a Bridgeport, nel Connecticut. I suoi genitori sono insegnanti (papà è addirittura preside) molto bravi nella loro occupazione, ma vivono fin dagli inizi una relazione conflittuale che spinge il ragazzino a cercare pace in un mondo parallelo, dove la musica è protagonista. 

Folgorato dal film Ritorno al futuro, con il cuore in fibrillazione durante la performance con la chitarra di Michael J. Fox, il giovane John concentra le sue passioni sullo strumento, andando a scoprire Stevie Ray Vaughan grazie ai dischi di un vicino di casa e percorrendo poi a ritroso tutto il cammino intrapreso dai giganti della sei corde, con i tre King, Muddy Waters e Robert Johnson a ergersi come Titani. Pian piano il ragazzo affina il suo talento con tanto sacrificio, decide a malincuore di abbandonare l’università e si trasferisce ad Atlanta per dedicarsi completamente alla musica, pur se ancora molto provato psicologicamente e fisicamente dalla sua situazione familiare, tra attacchi di panico e problemi cardiaci.

La svolta avviene con l’avvento di internet e l’intuizione di un produttore locale che lo prende sotto la sua ala. La strada è così ora in discesa e nel 2001, grazie a Gregg Latterman di Aware Records, mette on line Room for Squares, in seguito pubblicato “fisicamente” da una major, la Columbia. 

L’amore per il blues è in questo frangente sopito, ora dominano il soft rock ed il pop nelle sue composizioni. L’album è un successo e presto ne arrivano altri di rilievo per vendite e classifiche. Al pubblico piace l’idea dell’affascinante songwriter che imbraccia una chitarra e fa faville dal vivo. John accetta di non fare troppi riferimenti alla musica tanto amata nel passato, ora in parte scomoda visto il suo nuovo ruolo. Tuttavia qualcosa ancora arde nel profondo.

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La svolta del primo Crossroads Guitar Festival e la rivoluzione del John Mayer Trio

“Quando a inizio 2004 seppi che a Giugno di quell’anno si sarebbe svolto a Dallas il primo Crossroads Guitar Festival e scoprii che il mio nome non era incluso nell’elenco degli invitati me ne feci una ragione: John, non è ancora il tuo momento…”. Estratto dall’ intervista presente sul DVD Crossroads Guitar Festival, 2004.

Il momento arriva poche settimane dopo, quando gli impegni inderogabili di alcuni artisti, previsti come ospiti, causano fortunatamente la chiamata di Mayer alla kermesse delle chitarre.

Stare vicino (e in alcuni casi condividere con loro il palco) a B.B. King, Buddy Guy, Eric Clapton, Jimmie Vaughan e Robert Cray dà il la alla svolta musicale dell’artista americano. L’anno successivo realizza il potente live Try!, in trio con i formidabili Steve Jordan e Pino Palladino. Termina il soft pop rock per ragazzine e comincia un periodo d’oro per il musicista, pronto a ributtarsi nelle influenze primordiali e a evidenziare le sue doti chitarristiche finora celate a vantaggio di un suono più commerciale. 

Può tornare, ora che è  famoso e in grado di permetterselo, alle sue radici blues rock e da lì costruire qualcosa di originale, che mescoli la sua innata vena compositiva a una raggiunta saggezza musicale.

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Quel capolavoro intitolato Continuum e le ultime, sofferte, pubblicazioni

Un uomo ritrovato, in sintesi, il cui passo seguente sta nel convocare i protagonisti del cambiamento Palladino e Jordan, unirli a pregiati session man come, fra i tanti, Larry Goldings, Ricky Peterson e Willie Weeks, per iniziare la registrazione di Continuum, titolo che gira per la testa di Mayer da oltre un anno, ossessionato dal tempo e le sue variabili.         

Il risultato è un album coeso, uscito nel Settembre 2006, che ha ben sopportato il peso del tempo, ricco di intuizioni artistiche, ottimamente prodotto e con la chitarra in primo piano.

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Segue un maestoso live, Where the Light Is: John Mayer Live in Los Angeles, registrato durante il successivo tour. Rimane l’apice, al momento, della sua carriera, che prosegue altalenante (Mayer vive un periodo tormentato sia fisicamente, sia psicologicamente, tra seri problemi alle corde vocali e relazioni sentimentali tempestose), con una serie di lavori man mano sempre più spenti, privi di estro e nuove idee, anche se ben suonati e prodotti, con l’eccezione di Sob Rock (2021). Questo album, con la sua estetica smaccatamente anni Ottanta, fa riassaporare ancora una volta quella irripetibile sensazione di pura innocenza e sconfinata meraviglia tipica dell’infanzia, quando, sdraiati nel soggiorno dei propri genitori, ci si ritrova ad ascoltare per la prima volta quella musica che cambierà per sempre la nostra vita.

L’attività live, invece, va sempre a gonfie vele, con la chicca della partecipazione ai tour dei Dead & Company. Chissà come sarebbe stata l’esistenza di John Mayer se non avesse trovato rifugio, conforto e ragione di vita, sopportando tante traversie (familiari e amorose), nella chitarra e nella musica!

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Le partnership più infuocate e le chitarre di JM

La musica sopra ogni cosa

“Ho un rispetto incredibile per John, è estremamente talentuoso. Lo considero un artista fenomenale, un maestro. Penso non si renda nemmeno conto di quanto sia bravo”. Estratto da un’intervista di Dan Forte a Eric Clapton, presente nella limited edition di The Breeze: An Appreciation of JJ Cale, 2014.

Problematico sciupafemmine, pazzo, drogato e alcolizzato, sopravvalutato e ipocrita: sono solo alcuni degli “appellativi” rifilati all’autore di Waiting on a World to Change.

Di certo John ne ha combinate di cotte e di crude, da consumata rockstar. Tuttavia, pensandoci bene, gli epiteti esposti sopra potrebbero riguardare una grande parte degli eroi della chitarra da noi tanto amati. 

Probabilmente, da un punto di vista prettamente artistico, ciò che conta è il traguardo raggiunto, pur se, come detto, tra alti e bassi. E qui il verdetto è ben chiaro: Mayer è diventato un punto di riferimento nell’universo delle sei corde. Anche i momenti più difficili hanno contribuito a forgiare il personaggio, un talento che negli anni non ha perso lo smalto, soprattutto on stage, nel proporre grande musica, sia con i big della stessa che da protagonista.

Vanno certamente ricordate, tra le tante, le partnership o le semplici comparsate con J.J.Cale, Steve Miller, Phil Lesh, John Scofield, Buddy Guy, Doyle Bramhall II, Dave Matthews Band, ZZ Top & Slash, The Rolling Stones, Dave Stewart & Orianthi, Sheryl Crow, Brad Paisley, H.E.R., Sammy Hagar & James Hetfield, senza dimenticare quella incredibile con i Police.

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Fender o PRS?

Come avrebbe potuto John Mayer, in tutto il suo percorso, esprimersi completamente senza i suoi assoli intensi e sensuali? Diamo una veloce occhiata ai suoi marchi preferiti.

Slowhand Jr, come è stato soprannominato da qualcuno, è noto per suonare soprattutto le Fender Stratocaster, tra cui la 2004 Stevie Ray Vaughan “Number One” (di recente nella reunion con il trio ha sfoggiato anche la sua Custom Shop Monterey), e la PRS Silver Sky. Questi strumenti iconici contribuiscono al suo timbro caratteristico, caratterizzato da pickup single-coil e da un suono versatile. 

Anche le Gibson (Les Paul e SG) fanno parte del suo equipaggiamento, mentre per un certo periodo si è pure visto utilizzare una Jackson rosa. 

La scelta dell’acustica è incentrata su vari modelli della Martin

Infine merita menzione un altro strumento particolare, la Guild Starfire IV ST, la cui versatilità permette la possibilità di esplorare nuove soluzioni sonore.

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PRS John Mayer Silver Sky Dodgem B

PRS John Mayer Silver Sky Dodgem B

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E a proposito di nuove soluzioni sonore, c’è un grande chitarrista, abile sperimentatore di generi, dal black e soul al blues e al rock, che si è intrecciato con John Mayer. Un moderno e affascinante Guitar God che è ormai una piacevole realtà nel mondo della sei corde: Gary Clark Jr

“Crossroads”, la serie unica e speciale di Planet Guitar, non si ferma mai! Sta già prendendo forma un’altra sorprendente puntata!

Stay tuned

To be continued…

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Alessandro Vailati