Il chitarrista e compositore americano Larry Carlton, nato il 2 marzo 1948, ha alle spalle un’incredibile carriera musicale in cui vanta collaborazioni con Joni Mitchell, Cass Elliot, Michael Jackson, Art Garfunkel, Steely Dan, The Crusaders, Joan Baez, David Crosby, Neil Diamond, Randy Crawford, The Four Tops, Barbara Streisand e Chet Atkins, per nominarne alcuni. Ha pubblicato più di 30 album da solista, ha vinto quattro Grammy Award e ha ottenuto altre 19 nomination, ad esempio per il suo Theme to Hill Street Blues. Dunque non è esagerato dire che ha dato un enorme contributo alla colonna sonora della vita di tante persone.
Purtroppo, proprio nel giorno dell’intervista a Planet Guitar giungono tragiche notizie dalla sua città: a Nashville, Tennessee, si è appena svolta una sparatoria in una scuola. Così comincio l’intervista chiedendogli come sta.
Larry Carlton: Bene, grazie. Ero fuori città quando è successo il fatto, l’ho saputo al mio rientro a casa. Dio mio, è terribile come va il mondo. Siamo molto preoccupati per le dimensioni globali della cosa.
PlanetGuitar: Tu stesso una volta hai rischiato di essere ucciso in una sparatoria casuale tra bande: immagino che riemerga qualcosa anche di quell’esperienza, vero?
L.C.: Esatto, è successo nell’aprile del 1988. Fortunatamente è andato tutto bene, ma i detective che indagarono sul mio ferimento pensavano che fosse un rito di iniziazione di qualche banda. C’erano due tizi, uno aveva una pistola e l’altro osservava. Avevano scelto una persona a caso da colpire, poi erano corsi via per poter riferire alla banda che quel giorno avevano effettivamente sparato a qualcuno.
PlanetGuitar: Come dici, è un mondo incredibile. Passando ad argomenti più piacevoli, ricordo ancora l’effetto che ha avuto su di me sentirti suonare nell’album Those Southern Knights (1976) dei Crusaders quando ero un adolescente. Ora che si avvicina il suo 50° anniversario, come ricordi quell’album?
L.C.: Ho un’idea piuttosto generica dei miei 13 album con i Crusaders negli anni ’70. Credo che in quell’album ci fosse una canzone scritta da Joe Sample su Joe Louis [nota: era in Southern Comfort del 1974]. A Ballad for Joe era un motivo molto particolare per me, proprio per la composizione di Joe. Ma sono molti anni che non ascolto quell’album, non ricordo le singole canzoni.
PlanetGuitar: Hai detto che suonare con i Crusaders ti ha aiutato a diventare un musicista più maturo…
L.C.: Sì. Ho iniziato a suonare a sei anni, dunque avevo parecchia esperienza, ma Joe [Sample], Wilton [Felder] e Stix [Hooper] avevano tutti quanti nove anni più di me e venivano da Houston, Texas. Io ero di Los Angeles, e il loro contributo musicale e ambientale era completamente diverso dal mio. Quindi lavorare con loro anno dopo anno mi ha ovviamente influenzato.
Questa settimana ho dato un concerto dove ho rielaborato una delle canzoni riducendo al minimo il suono della band, come se volessi quasi fare una preghiera con la chitarra. Dopo il concerto, un tizio è venuto da me e mi ha detto: “Sai che quel pezzo mi è piaciuto davvero tanto?” – “L’ho imparato da Joe Sample”, gli ho risposto.
PlanetGuitar: Veniamo alla tua infanzia: è vero che hai iniziato a suonare la chitarra perché sei stato ispirato dalla musica country che ascoltavi alla TV?
L.C.: Sì, a Los Angeles c’è una trasmissione intitolata Town Hall Party, e un’altra intitolata Hometown Jamboree; quella musica veniva trasmessa tutti i sabati sera, mentre seguivo le lezioni di chitarra. Ero un ragazzino di 12 anni circa, ed era esaltante per me vedere Joe Maphis, Ray Collins e andare a lezione di chitarra… Il rock ’n roll stava cominciando a prendere notevolmente piede nel 1958, quando avevo 10 anni. Quella musica entrava nelle mie orecchie di bambino e risvegliava il mio interesse.
PlanetGuitar: Ricordi qual è stata la tua prima chitarra?
L.C.: Una chitarra acustica a casa di mia nonna. Mia madre la suonava da ragazza e suo padre, originario dell’Oklahoma sud-orientale, suonava il violino. Mamma sapeva suonare tre accordi, e la cosa mi è stata utile perché mi dava una mano con le lezioni. Non era una chitarra di marca, era più o meno grande così dal manico [mostra le grandi dimensioni allargando le mani], ma riuscivamo comunque a suonarla. Dopo sei o sette mesi di lezioni, l’insegnante disse che promettevo bene, ma avevo bisogno di uno strumento migliore, così i miei genitori mi comprarono una Fender Broadcaster, la mia prima chitarra elettrica.
PlanetGuitar: Ce l’hai ancora?
L.C.: No, mi piacerebbe avere ancora tutte le mie chitarre, ma la maggior parte dei musicisti le permuta con altre. Io ho dato in permuta la Broadcaster per acquistare la Stratocaster.
PlanetGuitar: Poi il batterista e produttore di una surf band, i Challengers, ti ha chiesto di andare in studio da lui dove, se non sbaglio, hai conosciuto Hal Blaine e gli altri membri dei Wrecking Crew. Quanto eri emozionato?
L.C.: Un bel po’ ovviamente. Avevo già la patente, quindi dovevo avere 16 anni o poco più, ma quando ci ho riflettuto anni dopo, mi sono reso conto che Richard Delvy, produttore dei Challengers, sapeva che ero in grado di leggere molto bene la musica. Era un album di cover strumentali, ma dal sound sembravo ancora sufficientemente giovane da far parte di una surf band che suonava canzoni come Tequila. Sicché ha funzionato bene. Qualche anno fa, non ricordo quando, mi è capitato di riascoltare uno di quei brani che avevo trovato su YouTube, mi pare, ed effettivamente avevo uno stile da musicista giovane.
PlanetGuitar: Ma saper leggere la musica e suonare il jazz, il surf o il rock faceva di te un musicista molto richiesto. È per questo che tutti ti volevano a quell’epoca?
L.C.: Direi che molto ha fatto l’influenza del rock ’n roll da quando a 10 anni ascoltavo Chuck Berry e le canzoni doo-wop alla radio. Erano tutte uguali, bastava impararne una e saper suonare le progressioni 1-6-2-5. Quello che mi piaceva era l’armonia. Non sono mai stato un tipo da melodie “facili”, ma mi piaceva il sound, quel che chiamiamo “accordi adulti”. Poi all’improvviso finii a suonare in piccoli locali, dove nel primo set potevamo fare brani jazzati, come Misty, Autumn Leaves e simili, mentre il resto della serata era dedicato alla musica pop per permettere alle persone di ballare.
PlanetGuitar: Una volta, scherzando, hai detto di aver “rubato” i primi due accordi di Peg degli Steely Dan usandoli come ispirazione per uno dei tuoi successi, Room 335 del 1978. Secondo te è vero che tutta la musica è in parte rubata?
L.C.: Senza dubbio. Alcune meravigliose sequenze di accordi che ho imparato da ragazzo e ricordo ancora oggi erano di qualcun altro. Quando ho iniziato a suonare con i Fourplay, durante uno dei nostri primi concerti arrivò il momento del mio assolo e suonai un certo motivo [canticchia il ritmo]: Harvey Mason, che era alla batteria, esclamò: “Ehi, quello è un motivo di Joe Pass.” L’avevo imparato da bambino e non l’ho mai dimenticato.
PlanetGuitar: Suonavi con Abraham Laboriel e Jeff Porcaro, che dicevi fossero in grado di “creare un’energia speciale” in quelle sessioni. È ciò che ricordi con più piacere di quel periodo?
L.C.: Sì, eravamo musicisti pieni di entusiasmo. Trascorrevamo molto tempo in studio pur lavorando al Baked Potato o al Dante’s, due diversi jazz club nella parte nord di Hollywood. Quando ci riunivamo per suonare in questi piccoli locali c’era un’energia, come hai detto tu, che si creava perché suonavamo liberamente. Ci davamo da fare e crescevamo un po’ alla volta.
PlanetGuitar: Hai suonato in diversi album di Joni Mitchell, compreso Court and Spark. Ma in un’intervista hai detto che lavorare ai suoi album non è stato impegnativo perché “era tutto molto naturale e spontaneo”. Dev’essere molto bello trovarsi in quello stato mentale.
L.C.: Certamente. Nel 1974 avevamo tutti raggiunto un’ottima qualità musicale in studio, il che rendeva facile ogni sessione perché insieme funzionavamo. So che anche chi suonava in studio a New York aveva la stessa sensazione: tutti erano a un livello così alto che fare musica risultava semplicissimo. Una vera fortuna. Quando dico “noi” mi riferisco a Tom Scott, John Guerin, Max Bennett, Joe Sample e me. Nell’album Court and Spark i produttori dell’epoca, compresa la stessa Joni, non avevano idee preconcette, ci avevano chiesto di essere noi stessi. Sapevano che ingaggiando Joe Sample avrebbero avuto Joe e il suo sound, e lo stesso vale per la mia chitarra. Che anni!
PlanetGuitar: Credo tu sia l’unico musicista che ha suonato con John Lennon ma che poi lo ha piantato in asso!
L.C.: [Ride] Non so se sono l’unico ma l’ho fatto, sì. Vedo che ne sei al corrente! [Ride]
PlanetGuitar: Dipendeva dalla presenza o dall’assenza di “magia”, come dici tu?
L.C.: Ero abbastanza certo di non avere molta voglia di suonare in quell’album di John Lennon e Phil Spector, perché John Lennon stava attraversando un brutto periodo. Sedeva vicino a me, suonava la chitarra acustica ed era completamente sbronzo. Non è il modo in cui mi piace fare musica.
Avrai anche sentito dire che quella sera alla sessione era presente anche Leon Russell e che lo riaccompagnai in hotel sul Sunset Marquis dicendo qualcosa come: “Che rottura di palle!” e Leon, nel suo accento dell’Oklahoma, rispose: “Non dirlo a me, io me ne torno a Tulsa domattina!” Così se ne andò anche lui. Non era bello suonare con qualcuno che non era assolutamente in condizione di farlo.
PlanetGuitar: È una storia che contrasta con la bellezza, la magia e la complicità che hai con Robben Ford…
L.C.: Esatto. Ho sempre ammirato Robben dalla prima volta che l’ho sentito suonare, e lo ammiro ancora. Ha un dono speciale che ha lasciato un segno in me. Così siamo diventati amici e ho ascoltato molte sue cose nei primi due anni di amicizia, cosa che mi ha definitivamente influenzato. Ascoltare Robben a quell’epoca ha fatto di me un chitarrista migliore.
PlanetGuitar: È vero che durante una delle tue esibizioni dal vivo, mi pare al Dante’s Jazz Club, un dirigente venne a chiederti se volessi incidere un disco da solista?
L.C.: Sì, è così. Bruce Botnick, un produttore A&R che lavorava alla CBS Records, mi disse: “Hai mai pensato di incidere un disco da solista?” A quei tempi era una cosa a cui non pensavo affatto, ma lui proseguì: “Ti pago una somma per alcuni demo, registri tre o quattro cose e vediamo cosa ne esce.” Ebbi la fortuna di andarci con alcuni amici, Jeff Porcaro, Abe Laboriel, David Foster, Greg Mathieson, e incisi Room 335, Nite Crawler e qualcos’altro che non ricordo, una jam con un brano fusion che avevo scritto.
Quando lo presentai, CBS voleva farmi firmare un contratto, ma con Bruce Botnick come produttore. Io dissi: “No, lasciatemi fare il primo, e se non funziona possiamo discuterne”, ma loro rifiutarono. Così declinai l’offerta, ma spedii lo stesso nastro a Tommy Lapuma di Warner Bros. Conoscevo Tommy dal periodo dei Crusaders con Blue Note Records, e lui mi offrì un contratto lasciandomi produrre tutti i miei album.
PlanetGuitar: Da allora hai pubblicato oltre 30 album da solista: ce n’è uno di cui vai particolarmente fiero?
L.C.: Sì, il primo album per CBS con Room 335, Nite Crawler, Rio Samba: fu il primo in cui ebbi il controllo completo – dalla scrittura dei testi alla produzione, alla possibilità di suonare proprio nel modo in cui volevo. Non ho che splendidi ricordi di quell’album.
Dopo i miei quattro album con Warner Bros., l’etichetta rinunciò alla parte “jazz”. Non ero in cerca di contratti discografici, ma un giorno mi chiamò MCA Master Series: la loro idea era permettere ai musicisti di fare ciò che volevano per la casa discografica. Non avevo idea di cosa fare, ma Jimmy Bowen, uno dei responsabili con cui avevo fatto centinaia di sessioni, disse: “Non hai mai suonato una chitarra acustica, perché non provi?” E ne uscì un album davvero speciale, perché mentre lo scrivevo nacque Smiles and Smiles to Go, e il mondo sembrò apprezzare [era buona musica].
PlanetGuitar: Apprezzare è dir poco: hai vinto quattro Grammy e 19 nomination, e hai suonato in più di 100 dischi d’oro. Cosa significa per te questo riconoscimento?
L.C.: Mi sento onorato. A ripensarci, anche allora mi dicevo: “Wow, alla gente piace veramente come suono.” Tutto ciò che posso dire è che non mi sarei mai sognato tutti questi riconoscimenti da ragazzo. Ne sono onorato, davvero.
PlanetGuitar: Passiamo alla tua chitarra: il tuo nome è indissolubilmente legato alla Gibson ES 335. Una volta hai dichiarato di essere stato fortunato a sceglierla, perché ormai la si associa a te. Ci racconti come e dove ti sei imbattuto in questo strumento?
L.C.: Ero un teenager, suonavo in un locale con musicisti più vecchi di me; ricordo che trascorsi lì il mio quindicesimo compleanno. Arrivò un tizio grande e grosso, di bell’aspetto, con una 335 rossa e suonò Moonlight in Vermont. Non ho mai dimenticato quel momento. All’epoca suonavo una ES 175 come Joe Pass, ma quando cominciai con le sessioni volevo una chitarra che potesse essere versatile, con cui poter suonare sia il jazz sia la musica pop contemporanea. Così entrai in un negozio di strumenti musicali a Palos Verdes, in California, dove vidi tre 335 appese al muro. Scelsi quella del ’69.
PlanetGuitar: Ora collabori con il produttore di chitarre SIRE USA: com’è nata la cosa?
L.C.: Gibson aveva applicato un adesivo “Larry Carlton Mr. 335” su alcuni modelli di 335 realizzati in base alle mie specifiche, ma non è mai riuscita ad andare a fondo in questo progetto. Erano orgogliosi di sostenermi, ma il controllo di qualità non era rigoroso come speravo. Una volta scaduto il contratto con Gibson sono stato avvicinato da SIRE. Mi hanno detto: “Lavoriamo con il bassista Marcus Miller da oltre cinque anni; è molto soddisfatto della nostra qualità. Vorremmo che venissi a Nashville per mostrarti una serie di strumenti.”
Le chitarre che mi hanno presentato erano tutte formidabili; in quel periodo costavano solo 600 dollari. Ho pensato: “Fantastico”, perché a questo punto della mia esistenza vorrei poter restituire qualcosa di ciò che la vita mi ha dato. Vorrei che i giovani chitarristi che oggi suonano nei locali potessero avere uno strumento di buona qualità per 6-700 dollari. SIRE è stata coerente, collaboriamo da ormai tre anni, le recensioni sono ottime e sono fiero che il mio nome sia associato al loro.
PlanetGuitar: Queste chitarre hanno prezzi molto competitivi. Molti dei tuoi fan chiederanno se possono veramente riprodurre il tuo celebre suono.
L.C.: Puoi farlo con qualsiasi chitarra, dipende dalle tue mani. Pat Metheny è riconoscibile a prescindere dalla chitarra che suona. Io acquistai una ES 175 perché la vidi in mano a Joe Pass sulla copertina di un album. Se una chitarra è in grado di spingerti a esplorare il mondo di uno dei tuoi idoli, non c’è niente di meglio.
Larry Carlton H7 VS
PlanetGuitar: Hai qualche aneddoto riguardante i tuoi fan?
L.C.: [Pausa]. Sì. Mi scuso se non ricordo il nome di questo signore, perché è un mio grande fan. 10 anni fa contattò il mio manager e disse: “Larry è il mio chitarrista preferito. Ho una Gibson 335 del 1958. È nuova, ma è rimasta sotto il letto di mia nonna per anni. Mi piacerebbe regalargliela come chitarra di riserva, se accetta.” È uno strumento meraviglioso. Meraviglioso. E un fan ha pensato di regalarmene uno da suonare di tanto in tanto. Un gesto di apprezzamento di questo tipo è qualcosa di immenso.
PlanetGuitar: Hai raggiunto tanti traguardi nel mondo della musica. Stai forse pensando a qualche nuovo progetto?
L.C.: Di fatto no, non ci sono nuovi progetti in vista. Quest’anno, nel mio tour di addio vogliamo comunicare al pubblico e ai promoter nel mondo che mi sto ritirando. Ho appena compiuto 75 anni, sto bene e vivo bene, ma non posso pensare di riuscire ancora a tenere 120 concerti all’anno in tutto il mondo. Però amo suonare. Mi limiterò a 35-40 concerti ben selezionati. A fine anno tornerò in Giappone per un tour di un paio di settimane, ma non viaggerò più come ai vecchi tempi.
PlanetGuitar: La tua musica verrà ascoltata per sempre, e ognuno proverà le sue personali emozioni ascoltandola. Ma tu, in particolare, come vorresti essere ricordato?
L.C.: [pausa] Mi vengono in mente due cose: vorrei essere ricordato come una brava persona… e un musicista molto, molto interessante!
PlanetGuitar: Ce l’abbiamo fatta!
Al termine dell’intervista Planet Guitar ringrazia calorosamente Larry Carlton per la sua disponibilità e lui risponde con la sua consueta generosità e gentilezza: “Sono io a ringraziare voi!”
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