Abbiamo dedicato molte parole al nuovo album di David Gilmour e al conseguente tour: dall’annuncio fino all’approfondimento sulle chitarre utilizzate per la registrazione passando per i primi rumors… L’attesa per la redazione di Planet Guitar è durata fino a ieri, 29 settembre 2024, quando al Circo Massimo di Roma, è stato finalmente il momento di vivere dal vivo uno spettacolo che prometteva di essere indimenticabile.
Arrivo sul posto alle 16 circa, constatando subito che solo una porzione dell’enorme Circo Massimo è stata dedicata al concerto. La scelta è stata probabilmente dettata dal tipo di palco e dall’unico schermo circolare posizionato al centro come nella migliore tradizione Gilmouriana. Nelle ore che ci separano dal concerto, tra la consegna di qualche plettro di Planet Guitar, il ritrovo di vecchi “colleghi di concerto” e la conoscenza di nuovi, scopro qualche dettaglio in più sulla serata che ci attende, di cui avevo deciso di non spoilerarmi nulla evitando recensioni e video delle serate precedenti. Un lungo -godibilissimo- soundcheck ritarda l’ingresso ai posti a sedere fino alle 18:30, ma addolcisce quella che sarebbe altrimenti stata una interminabile attesa.
David Gilmour al Circo Massimo: il primo set
Sono le 20:58 quando un simpatico annuncio in un Italiano un po’ maccheronico del bassista Guy Pratt, invita il pubblico ad evitare riprese con il flash acceso. Alle 21 in punto, in perfetto orario si spengono finalmente le luci, lasciando spazio alla magia. Ci pensano le prime note di 5 A.M. a riscaldare l’umida serata romana, aprendo la strada a una performance carica di aspettative.
Siamo di fronte a uno dei “guitar god“, al cospetto del quale ci siamo recati tutti in pellegrinaggio con timor Dei e capo chino. Eppure, durante il secondo brano, Black Cat, Gilmour “stecca” un bending e ci regala un sorriso umano, abbattendo in un istante quella barriera di divinità che lo circonda dalla notte dei tempi floydiani. Un piccolo momento autentico, un errore che ha avvicinato ancora di più il pubblico a questa leggenda della sei corde. E di nuovo, poco dopo, su Breathe (In the Air), la sua voce ancora fredda, fatica a raggiungere le note più alte, mostrando una seconda fragilità che non ha fatto altro che evidenziare la determinazione di un uomo di 78 anni che ha ancora voglia di dare tutto se stesso. E non temete, lo farà per tutto il corso della serata.
La band (e le chitarre…)
Superata la barriera tra umano e divino nei pezzi precedenti, Wish You Were Here, tocca il cuore di tutti, regalando un’esecuzione sentita e coinvolgente; una menzione speciale va all’assolo suonato e cantato. È alla fine di questo brano che ci introduce la sua band, prendendosi un momento per presentare il tastierista Rob Gentry, dimenticato durante la band introduction della sera precedente. Un gruppo che, come già raccontato, ha subito diversi cambiamenti, eccezion fatta per l’inseparabile Guy Pratt al basso, Greg Phillinganes alle tastiere e Louise Marshall, che ci stupirà un’oretta più tardi al pianoforte durante The Great Gig in the Sky.
Alla seconda chitarra, troviamo il giovane e talentuoso Ben Worsley, mentre alla batteria c’è Adam Betts. Tra le voci, accanto a Louise Marshall, eccovi le Webb Sisters (rimaste “orfane” di Cohen) e Romany Gilmour.
Con High Hopes, si conclude il primo set. Durante il brano un piccolo problema tecnico ritarda l’assolo alla lap steel, ma Gilmour, senza risparmiarsi, esegue comunque ogni nota alla perfezione, mentre l’atmosfera si arricchisce di giganti palloni gonfiabili lanciati verso il pubblico.
Risulta quasi superfluo menzionare il quantitativo di chitarre che si alternano sul palco, tra Stratocaster, Telecaster, Les Paul Goldtop con Bigsby e P90, le PRS di Worsley…
David Gilmour al Circo Massimo: il secondo set
Circa quindici minuti di pausa e si parte con il secondo set. È in questa attesa che realizziamo forse per la prima volta nella sera la fortuna che come pubblico stiamo avendo. Il set parte alla grande con Sorrow, eseguito proprio con la Les Paul Goldtop, mentre sullo sfondo Pratt e Charley Webb danzano divertiti a ritmo di basso e ukulele. È però la successiva A Great Day for Freedom a entusiasmare i chitarristi presenti, grazie al lungo scambio di assoli tra Gilmour e Worsley. Quest’ultimo pur non rinunciando al proprio carattere distintivo (a partire dalla sua PRS, chitarra inusuale sul palco di Gilmour), ha saputo “dialogare” con Gilmour con leggerezza e maestria, amalgamandosi allo stile e alle sonorità del protagonista. Dopo In Any Tongue, ecco uno dei momenti più emozionanti e attesi, quello di The Great Gig in the Sky, per cui la band si è unita a centro palco, creando un’atmosfera quasi sacrale.
Romany Gilmour, una piacevole sorpresa
La voce di Romany Gilmour, in perfetta armonia con le Webb Sisters e Louise Marshall, ha dato vita a un momento di pura magia, che qualcuno tra il pubblico alle mie spalle ha giustamente definito “un gospel“. Va sottolineato che la presenza sul palco di Romany sarebbe potuta risultare invadente e forzata nell’immaginario comune, mentre è risultata perfettamente allineata al concept di questo album e tour. Mi sento di dire che il supporto della figlia in alcune parti vocali, ha reso se possibile ulteriormente umano Gilmour che rinfrancato dalla sua presenza, ha potuto gestire al meglio le sue parti vocali.
Gibson Les Paul 54 Goldtop VOS
Scattered, uno dei migliori brani del nuovo album, sancisce la fine del secondo set, anche se va detto che molti di noi, consapevoli che l’encore sarebbe stato imminente, non sono riusciti a goderselo fino in fondo, concentrati ad attendere il momento di lanciarsi verso le transenne per il gran finale.
Comfortably Numb, il finale che tutti aspettavamo
Uno scatto verso il palco dopo le pochissime parole di saluto dal palco “spero vi siate divertiti, noi lo abbiamo sicuramente fatto” ed eccoci immersi nel momento che tutti aspettavamo: Comfortably Numb. L’assolo, quattro minuti di pura estasi, non ha potuto che rimandare tutti noi indietro nel tempo… Per una ragione o l’altra questo pezzo ha accompagnato tantissimi tra noi, in particolar modo noi chitarristi. È chiaramente percepibile dagli sguardi emozionati di quanti come me sono sotto palco, a pochissimi metri di distanza dal proprio idolo; chi vi scrive è volato con la mente alla propria adolescenza, quando tentando di imparare l’assolo e replicarne ogni sfumatura, passava pomeriggi con la propria fedele Strato. Un’esecuzione impeccabile, cominciata con gli iconici armonici artificiali che ha dato il colpo di grazia a tutti noi e chiuso una serata memorabile.
Dopo l’ultimo inchino, è Guy Pratt a consegnare i plettri raccolti dall’asta del microfono di Gilmour, un piccolo ma prezioso ricordo per chi vi scrive che, come pochissimi altri presenti, conserverà nel cuore questa esperienza unica.
La scaletta di David Gilmour al Circo Massimo (29.09.2024):
Set 1:
- 5 A.M.
- Black Cat
- Luck and Strange
- Speak to Me (Pink Floyd)
- Breathe (In the Air) (Pink Floyd)
- Time (Pink Floyd)
- Breathe (Reprise) (Pink Floyd)
- Fat Old Sun (Pink Floyd)
- Marooned (Pink Floyd)
- Wish You Were Here (Pink Floyd)
- Vita Brevis
- Between Two Points (The Montgolfier Brothers, con Romany Gilmour)
- High Hopes (Pink Floyd)
Set 2:
- Sorrow (Pink Floyd)
- The Piper’s Call (con Romany Gilmour)
- A Great Day for Freedom (Pink Floyd)
- In Any Tongue
- The Great Gig in the Sky (Pink Floyd)
- A Boat Lies Waiting
- Coming Back to Life (Pink Floyd)
- Dark and Velvet Nights
- Scattered
Encore:
Comfortably Numb (Pink Floyd)
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Recensione completa e perfettamente aderente alla realtà di ciò che abbiamo avuto la fortuna di vedere e soprattutto di sentire.
La pausa tra il 1 e il 2 set mi era sembrata molto più lunga, forse perché non riuscivo ad aspettare ancora per ascoltare Sorrow.
Comfortably Numb probabilmente la migliore esecuzione delle prime 3 serate.
Abbiamo vissuto un’esperienza che rimarrà nella storia della musica, ne sono sicuro.
Grazie Emanuele
Grazie Fabio! Abbiamo avuto una gran fortuna, è stata un’esperienza unica che meritava parole dal cuore più che dal cervello chitarristico!