Mancavano in Italia da più di tre anni quando, in quell’epoca pre-COVID del febbraio del 2020, erano in tour per presentare il loro nuovo disco You Know What…?. Potevamo ancora fare a meno della follia di uno dei migliori trio di rock-fusion strumentale attualmente in circolazione? No! E noi di Planet Guitar non potevamo assolutamente mancare al ritorno dei The Aristocrats e siamo andati a sentirli (anche) per voi! Vi raccontiamo com’è andata.
Scongelati e contenti: il DEFROST tour
A seguito dell’ultimo tour europeo del 2020, il trio aveva pubblicato il disco Freeze! Live In Europe 2020. In occasione del loro ritorno nel continente, il nuovo tour è stato quindi chiamato DEFROST e prevede ben 7 date in Italia, abbastanza ben distribuite in tutta la penisola. Il trio ha inoltre annunciato qualche settimana fa l’uscita del nuovo album, prevista per febbraio 2024 e ha promesso che qualche nuovo brano sarebbe stato incluso nella scaletta di questi show.
Inutile nasconderlo, la principale attrazione del trio era per noi vedere dal vivo quel fenomeno che corrisponde al nome di Guthrie Govan, chitarrista inglese assolutamente fantastico, ma vi diciamo già che siamo rimasti incredibilmente colpiti da tutta la band, che include alla batteria Marco Minnemann e al basso Bryan Beller.
Appena arrivati, con un’ora abbondante di anticipo per essere ben posizionati sotto il palco, il Live Music Club di Trezzo sull’Adda non ci sembra pienissimo. Ma poco prima dell’inizio del concerto il locale si è ben riempito. Non ha raggiunto forse il sold out, ma è comunque un ottimo risultato in un freddo venerdì autunnale.
Pronti via e alle 21 precise si parte, con Satisfaction dei DEVO che introduce il trio sul palco e mette subito le cose in chiaro: preparatevi a qualcosa di strambo, bizzarro, ma molto divertente. Il primo brano è Stupid 7, estratto dall’album Tres Caballeros del 2015, ed è subito un concentrato di energia incredibile. Tutti sono subito pronti a immortalare l’evento con smartphone alla mano, ma la crew della band è molto attenta e precisa e blocca subito i fan: questa sera niente video, si ascolta e ci si diverte. Durante tutto il concerto più volte la crew ferma i tentativi dei fan più intraprendenti sul nascere, tramite l’uso di una torcia fatta lampeggiare in direzione del cellulare, e possiamo quindi dire di aver assistito a un concerto quasi smartphone free… Una bella esperienza davvero!
Finisce il primo brano e Bryan prende subito la parola, presentando la band e ricordando il senso del nuovo tour: tornare ad abbracciare e a far divertire i fan europei e presentare anche qualcosa del loro nuovo album. Ecco quindi i primi due brani nuovi: Hey… Where’s My Drink Package? e Sgt. Rockhopper. Il primo è stato scritto da Marco, che ci tiene a mostrarci le sue doti con l’italiano recitando (ottimamente) lo scioglilingua trentatré trentini entrarono a Trento, mentre il secondo è una composizione di Guthrie.
Govan ci tiene a raccontare il perché di questo brano: voleva scrivere un pezzo su un poliziotto pinguino, che vive e lavora sul permafrost in Antartide e aveva assolutamente bisogno di una theme song. Momenti come questo costellano l’intero concerto, dando un po’ l’idea dei tre musicisti sul palco. Dei fenomeni che non si prendono troppo sul serio, che se la spassano come dei pazzi a fare quello che fanno, che sono ironici e si divertono anche un po’ a prendere bonariamente in giro il loro pubblico.
La situazione si ripete infatti anche prima dell’esecuzione di Bad Asteroid, uno dei brani più rappresentativi del primo e omonimo disco della band del 2011. Questa volta Guthrie ci racconta della sua passione per i dinosauri da piccolo e di come ci rimase molto male quando scoprì della loro estinzione, causata dalla caduta di un asteroide. Gli sorse allora spontanea una domanda: quale asteroide farebbe mai una cosa del genere? Solamente un cattivissimo corpo celeste, ed ecco spiegato il senso del titolo. Per introdurre The Ballad of Bonnie and Clyde è invece Bryan il cantastorie. All’epoca del loro precedente tour europeo furono rubati tutti i suoi bassi, con i ladri che furono arrestati in soli tre giorni, ma senza ritrovare gli strumenti. Pensando all’altalena di emozioni di quel periodo Bryan ha scritto questo brano, dedicato a due dei più famosi criminali della storia.
La promessa di inizio concerto di presentare ben tre brani nuovi viene mantenuta, con la terza nuova canzone scritta da Bryan, in modo da suonare un pezzo inedito scritto da un componente diverso del trio. Uno a testa insomma, sempre per mantenere il divertimento condiviso equamente. Anche in questo caso non può però mancare il coinvolgimento del pubblico: la richiesta dal palco è allora quella di indicare quale genere non hanno ancora suonato i The Aristocrats nel corso della loro carriera.
Dato che a loro piace “distribuire equamente il dolore”, quale genere non ha ancora subito il loro trattamento? Qualcuno urla il progressive, qualcuno il death metal, altri il rap, ma la risposta corretta è solo una: la disco music! Ed ecco allora il trio attaccare con Aristoclub, un vero e proprio omaggio alla disco anni ‘90. Le luci da discoteca del locale si accendono, per dei momenti di puro delirio e divertimento sonoro.
Il brano sembra finito quando Guthrie e Bryan lasciano il palco, per permettere a Marco di scatenarsi in un drum solo veramente pazzesco, in cui non stupisce solo la tecnica del musicista, ma la fantasia e la paradossale follia di certe soluzioni adottate. Avete mai sentito un batterista impressionare il pubblico su una base composta da versi di animali da fattoria e maialini di plastica messi in loop? Se la risposta è no, non avete mai visto dal vivo i The Aristocrats!
Finita questa sezione ai limite dell’allucinazione e del quasi no sense, Guthrie e Bryan tornano sul palco. Per iniziare un brano nuovo? Assolutamente no, infatti il trio riparte con il precedente pezzo disco e lo porta alla conclusione. Altro momento eccezionale.
Siamo a circa metà show, quando arriva la birra fresca sul palco, portata dalla crew in gran parte italiana. Ora è Marco, uno showman nato, a introdurre i successivi due brani: Through the Flower, traduzione in inglese di un’espressione tedesca, suo paese di origine, e Ohhhh Noooo, che a suo dire gli ricorda moltissimo Metal Gods dei Judas Priest. Quindi, per non farsi mancare nulla, si fa mettere un effetto sulla voce per imitare il timbro di Rob Halford e recita il secondo scioglilingue, sopra la panca la capra campa. Ottimo italiano anche in questo caso, così come quando dimostra di conoscere altre espressioni tipiche della nostra lingua che però eviteremo di citare.
Gli animali di plastica non sono solo un elemento extra della performance, per aggiungere suoni e stramberie a brani già di per sé non convenzionali. Bryan invita infatti a passare dal tavolo del merchandise a fine concerto per acquistare qualche CD e soprattutto un simpaticissimo gadget. Una chiavetta USB a forma di pollo di plastica che include 5 ore di registrazioni video e audio della band. Un ricordo unico di un trio veramente singolare, che è quasi un meme vivente.
Ci si avvicina al finale, ma c’è ancora spazio per Guthrie che presenta due brani. Il primo è un “mutant tango” in 5/4 che racconta di un personaggio immaginario che ruba cose e vuole assolutamente essere catturato da un poliziotto pinguino (quello del pezzo di poco prima, Sgt. Rockhopper), ovvero Furtive Jack. Il secondo è invece una riflessione filosofica sulla miseria della vita umana, sul passaggio del tempo e sulla transitorietà delle cose, ispirato dalla tradizionale campanella dei pub inglesi che segnala che si sta per chiudere e la serata sta finendo, Last Orders.
Fine del concerto? Questo folle trio poteva lasciare il suo pubblico con un brano così malinconico? Ovvio che no, ed infatti eccoli rientrare per il bis e per l’ultimo gioco con il pubblico. Chiedono a dei volontari di contare in quattro in qualsiasi tempo e in qualsiasi lingua per dare l’avvio a Blues Fuckers, un pezzo in 11/16. C’è un po’ di timidezza tra il pubblico, soprattutto di fronte a dei musicisti di questo livello. Eppure alla fine il gioco riesce, con l’ultima chiamata affidata direttamente al loro fonico al mixer. Il brano giunge a conclusione e così, dopo due incredibili ore di grande e allucinata musica live, si conclude il concerto.
E con Guthrie com’è andata? Beh, che dire, il timido e canuto chitarrista inglese, oltre ad essere un simpatico mattacchione, è un fenomeno vero. Assolutamente mostruoso dal punto di vista articolare e tecnico, con tapping, hammer-on e pull-off, vibrati e velocissime scale sempre precise e pulite e in generale un timing incredibile, soprattutto in brani come questi dalla difficoltà elevatissima. Accompagnato dalle sue fidatissime Charvel Guthrie Govan signature, caramellate e con configurazione HSH, è uno spettacolo da vedere e da sentire. Ci sono momenti in cui è impossibile non chiedersi come faccia a suonare così e a spaziare in modo così incredibile tra i diversi generi.
Charvel Guthrie Govan HSH Flame Maple
Charvel Guthrie Govan HSH Cooked Ash
Per quanto riguarda gli effetti, Guthrie è ormai passato da qualche tempo al digitale. Questo per avere la possibilità di utilizzare e sperimentare rapidamente con più suoni e avere meno ingombro in tour. La sua scelta è ricaduta sulla pedaliera FM9 di Fractal Audio e su dei cabinet attivi Laney LFR-212, con cui ha firmato un accordo proprio quest’anno.
Che dire, noi ci siamo davvero divertiti, così come i tre musicisti sul palco. Aspettiamo di sentire il nuovo disco dei The Aristocrats e magari la prossima occasione per farci stupire dal vivo dal loro bizzarro show!
Scaletta:
(Intro) DEVO – Satisfaction
- Stupid 7
- Hey… Where’s My Drink Package?
- Sgt. Rockhopper
- Bad Asteroid
- The Ballad of Bonnie and Clyde
- Aristoclub / drum solo
- Through the Flower
- Ohhhh Noooo
- Furtive Jack
- Last Orders
- (Bis) Blues Fuckers
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