Non voleva replicare, non amava ripetersi. La storia musicale di Lucio Battisti potrebbe racchiudersi in queste parole. Monumento della musica leggera italiana, dopo il grande successo degli anni Settanta l’artista di Poggio Bustone arriva a fine decade nutrendo il bisogno di smitizzare se stesso per essere libero di continuare a creare, senza legami con il passato. È per questo motivo che, insieme al fidato produttore Geoff Westley, sceglie il nuovissimo studio Town House a Londra per registrare Una giornata uggiosa, facendosi accompagnare dalla crema dei session man inglesi. Avviene proprio lì l’incontro con Phil Palmer: il suo tocco alla chitarra caratterizza un album imprescindibile, che sancisce la fine dell’accoppiata Battisti-Mogol.

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Una giornata uggiosa, il fascino di un disco senza tempo

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La magia di una chitarra al posto giusto, nel momento giusto

La canzone Con il nastro rosa era diventata un classico italiano, ma non ebbi chiaro quanto fosse importante quel brano fino a quando non iniziai a venire in Italia regolarmente, nel corso degli anni Novanta. Fu allora che m’innamorai del vostro paese, della sua cultura, del suo modo di vivere, che ora infatti ho sposato full time”. 

Estratto da intervista di Valerio Di Marco a Phil Palmer per vignaclarablog.it, 2019.

“Chissà, chissà chi sei, chissà che sarai, chissà che sarà di noi, lo scopriremo solo vivendo”… Quante volte abbiamo ascoltato e cantato le parole di questa canzone, un classico della musica leggera italiana,  e ci siamo lasciati andare irretiti dalla melodia uncinante, magari anche sfoggiando un po’ di air guitar durante il lungo outro dalle atmosfere sospese, sapientemente architettato da Lucio Battisti per sintetizzare il dilemma del testo.

“Lo scopriremo solo vivendo” è addirittura diventato un nuovo modo di dire, a dimostrazione di come un brano possa toccare l’immaginario collettivo e trasformarsi in qualcosa di dominio pubblico, in una condivisione di stati d’animo, in un alito di vita. La nascita di questo capolavoro ha avuto una lunga gestazione, coronata dalle scelte giuste, al momento giusto, nel posto giusto con il chitarrista giusto, lo straordinario Phil Palmer, già protagonista della scorsa puntata di “Crossroads”. Sono sue le note ipnotiche dell’assolo finale, suoi i fraseggi e gli accordi all’acustica che hanno reso l’ultima, bellissima canzone scritta sull’asse Battisti-Mogol un evergreen dal color nostalgia di grande forza espressiva. E, come vedremo, il suo contributo non si è fermato a un solo pezzo, Palmer ha illuminato diversi momenti di Una giornata uggiosa.

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La potenza della title track

Si dice che la musica sia in grado di cambiare un’esistenza, ponendosi come veicolo d’espressione intensa e mezzo di comunicazione che non necessita di spiegazione alcuna. Questa carica vitale fluisce in ogni battito di Una giornata uggiosa

In ciò che sarebbe eretico definire un semplice disco, uno dei maggiori compositori italiani del Novecento tocca vertici musicali e lirici senza confronto alcuno, travalicando i confini di genere e fondendo visioni oniriche con una scrupolosa scelta delle strumentazioni.

L’illustre produttore e arrangiatore Geoff Westley è il suo fidato braccio destro, e svolge un ruolo chiave nello sviluppo del progetto trovando il luogo, il nuovissimo studio Town House a Londra, e convocando la crema dei sessionman britannici, dai bassisti John Giblin e Dave Markee, ai batteristi Stuart Elliott e Morris Pert, fino al leggendario re del sax Mel Collins. Per le parti di chitarra accorrono Ray Russell, e, appunto, Phil Palmer, il quale, oltre a Con il nastro rosa, mette lo zampino nella tonitruante title track, con il riff pungente che accompagna il ritornello, e nell’effervescente opener Il monolocale, folgorante esempio di eccellenza melodica, ritmica e strutturale.

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Un nuovo Battisti

Una giornata uggiosa comincia a prendere corpo nell’aprile 1979, quando Lucio fa ascoltare a Westley i provini delle canzoni dell’album. Nel demo ci sono solo lui e la sua chitarra acustica. Il produttore trascorre l’estate e parte dell’autunno a elaborare alcune idee per l’arrangiamento e, assecondato da Battisti, mai così determinato e perfettamente a suo agio durante il suo soggiorno londinese in compagnia della moglie Grazia, trova la quadratura finale spostandosi nel nuovo studio, circondato da musicisti di cui si fida ciecamente. 

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Una gestazione lunga (giugno-dicembre), che tuttavia porta ai risultati sperati, con il groove e il sound azzeccati per rappresentare al meglio le melodie ricercate e allo stesso tempo orecchiabili dell’autore, e i testi di Mogol, solo di primo acchito intrisi di leggerezza e invece dall’affascinante retrogusto agrodolce. 

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Con il nastro rosa: il making of, uno sguardo alla strumentazione di Palmer e un aneddoto divertente

La magia dell’atmosfera, l’incanto di quell’attimo in cui lo spirito dell’ispirazione scende in sala d’incisione e nascono capolavori che superano i confini di spazio e tempo. Riavvolgiamo per un attimo il nastro (rosa!).

In una fredda notte d’autunno il trio Westley-Elliott-Markee scalda i motori registrando le basi della canzone. Il Fender Rhodes parte sornione assecondato dal picchiettio del rullante, mentre il basso suona le note giuste, semplici ma appropriate per quel tipo di sound, quel groove che si sta creando e andrà a caratterizzare la composizione.

In un paio d’ore la traccia è pronta e il gelido mattino successivo Battisti arriva in studio per la parte vocale. È consapevole di avere tra le mani il pezzo più importante, la chicca a chiusura dell’opera e di un ciclo e si destreggia alla grande.

Ora manca solo Palmer…

“Con il nastro rosa era in Do# minore, una tonalità insolita per la chitarra, ma l’atmosfera del brano era bellissima. Geoff aveva lasciato un finale in dissolvenza insolitamente lungo sulla traccia. Suonai le mie parti in sole due take, dato che l’ora di un appuntamento inderogabile si avvicinava, includendo un secondo assolo di oltre due minuti nella sezione conclusiva, pensando che Geoff l’avrebbe ridotta più tardi. Una volta fatto, raccolsi le mie cose e andai dal dentista”.

Un lunedì seguente Phil viene contattato per incidere le sue parti. Ha un appuntamento dal dentista quel pomeriggio, ma passa prima dallo studio. Prepara un amplificatore Vox AC30 su cui suonare, ma, proprio quel giorno, decide di cambiare un po’ le cose e, come riportato nella sua biografia Session Man, prova una “nuova chitarra Ibanez d’ispirazione Les Paulche gli era stata data per fini promozionali.

Pragmatismo, estro e inventiva: ecco come i grandi artisti sanno convogliare verso di loro la forza del destino e superare ostacoli, impedimenti, scavalcando lo scoglio dei tempi ristretti. 

Il risultato finale è eloquente. Con il nastro rosa, oltre ad essere una canzone celebre, una hit senza tempo, diviene la più citata nel linguaggio italiano.

Vox AC30 C2

Vox AC30 C2

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Lucio Battisti & Phil Palmer: un incontro fruttuoso

L’ingaggio arrivò tramite Geoff, non sapevo chi fosse Battisti. Ho scoperto solo in corso d’opera un grande talento, molto originale, di cui apprezzavo le idee, il suono, i brani, per niente in dislivello rispetto ai songwriter stranieri, anzi molto internazionale”. Intervista a Phil Palmer tratta dal libro Con il nastro rosa. L’ultima canzone di Mogol e Battisti e la fine del sogno di Donato Zoppo, GM Press, 2020.

Un incrocio fatale, importante. Battisti trova l’uomo perfetto per rendere apicale il suo album spartiacque. Palmer incontra un artista che lo lega indissolubilmente al Belpaese, il luogo che diventerà il suo futuro. Un Belpaese a cui, di questi tempi, manca sempre più la genialità del mito di Poggio Bustone, scomparso improvvisamente il 9 settembre 1998 a soli cinquantacinque anni. Andiamo a riscoprire l’importanza di un personaggio unico, definito da Westley “il numero uno in Italia, una via di mezzo tra Bob Dylan e John Lennon.

Lucio Battisti: genialità e inventiva di un mito

Dalla gavetta al successo. L’era Mogol

Lucio Battisti, classe 1943, ha sempre precorso i tempi, intuendo in anticipo quanto sarebbe accaduto. 

All’inizio degli anni Sessanta, quando la sua carriera comincia come autore per altri interpreti e, appena dopo, nel momento in cui escono i suoi primi dischi, il supporto predominante è il 45 giri, con i singoli brani lanciati e promossi alla ricerca del possibile successo. 

Il concetto di album a 33 giri, con una scaletta ben definita e canzoni legate l’una all’altra per rappresentare il lavoro di un periodo specifico in sala di registrazione, inizia ad affermarsi solo al termine di quella straordinaria decade musicale. E proprio lui stesso fatica non poco ad imporre questa nuova realtà, basti pensare al rivoluzionario Amore e non amore, concepito già nel 1970, ma di dimensione talmente alternativa da essere pubblicato solo dodici mesi dopo. 

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La Ricordi, sua casa discografica in quel momento, preferisce invece assemblare Lucio Battisti Vol.2 e in seguito Emozioni, due opere che raccolgono una sequenza sparpagliata di hit pubblicate qua e là, in momenti diversi e senza un preciso collegamento. Certamente, al di là di quanto si stesse evolvendo, l’accoppiata Battisti-Mogol, dopo essersi annusata e accettata compiaciuta, aveva già lasciato un segno indelebile nel canzoniere italiano di quei tempi.

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Da Umanamente uomo: il sogno a Una donna per amico, passando per Anima latina

Il 1972 è l’anno della svolta: arriva il primo lavoro con l’etichetta Numero Uno, fondata con Mariano e Giulio (Mogol) Rapetti. Dopo l’indimenticabile singolo La canzone del sole, non inserito nel disco, sulle ali di questa nuova libertà artistica nascono classici quali I giardini di marzo, Comunque bella, E penso a te e Anche per te, ma tutti i pezzi in scaletta sono di altissimo livello come lo sono pure i successivi LP Il mio canto libero e Il nostro caro Angelo.

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Ma, l’abbiamo già detto più volte, Lucio non si siede sugli allori, dopo aver regalato il meglio alla musica popolare italiana.

La natia Poggio Bustone, la vicina Roma e ora l’amena Molteno, nella Brianza lecchese, sono i suoi luoghi del cuore, tuttavia una nuova ispirazione giunge per merito di un viaggio in America Latina. 

Superati i trent’anni, nel pieno della maturità artistica, spiazza tutti con Anima Latina (1974), esperimento riuscito della fusione di più generi, e sforna altri lavori indovinati con gemme del calibro di Ancora tu e Sì, viaggiare, prima di sbalordire con la virata verso la disco music di Una donna per amico (1978), ove fa capolino il caro Geoff Westley. 

Sempre in anticipo coi tempi, moderno e classico allo stesso modo, Battisti, ormai trasformatosi nell’anti-tutto (no live, no interviste, no approfondimenti) si nutre solo di musica e non ha nessuna intenzione di fermarsi…

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L’artigiano di parole (Panella) incontra l’ideatore di suoni (Battisti)

Una giornata uggiosa è il passo successivo che ormai ben conosciamo, prima di un disco-cerniera, E già, un atto unico di transizione, sperimentazione, riposizionamento. Un album strano, dimenticato, insipido, però, al solito di Battisti, con tanta vita e tanta ricerca nelle motivazioni.

Gli anni Ottanta, d’altronde, sono molto diversi dal decennio precedente in Italia. Con il caso Moro, la morte di Demetrio Stratos, il riflusso, la disco music, si è chiusa un’epoca e comincia un percorso culturale nel quale prevale l’individualismo esteriore, veicolo di disimpegno, culto dell’immagine, dell’apparire. 

La stessa musica rock del passato è cambiata, virando verso un pop-rock meno utopistico e più fruibile, le novità giungono dalla variopinta ondata post-punk. Le sonorità più intriganti per le orecchie di Lucio sono quelle del synth-pop alla Depeche Mode, Human League ed Eurythmics, gruppi influenzati da Kraftwerk e Brian Eno

Il Battisti di quell’epoca si interessa sempre più di elettronica tanto da applicarla al formato della canzone pop. Una canzone che lui interpreta come occasione di approfondimento, sganciato dalla ricerca del consenso: una svolta radicale lontana dal successo di massa, che conduce a Don Giovanni (1986), inizio della collaborazione con Pasquale Panella, autore di testi surreali, giocosi e di primo acchito impalpabili, per arrivare, tra alti (La sposa occidentale, 1990) e bassi (Cosa succederà alla ragazza, 1992), all’ultimo Hegel, 1994.

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L’analisi degli ultimi progetti

Battisti riparte (con Panella) da ciò che ha lui stesso annullato (Mogol), ma il prima e il dopo sono due facce della stessa medaglia: in comune hanno il medesimo artista. La storia del personaggio non può prescindere da entrambe le parti. Certamente merita una rivalutazione, e in questo il tempo spesso è galantuomo, la spasimante ricerca di sonorità e la libertà concettuale dell’era Panella, ennesima dimostrazione di un musicista moderno e maturo. Non si può però tralasciare quello che ha permesso tutto questo, quei pensieri e parole (parafrasando proprio una sua canzone manifesto) in musica che rimangono nell’immaginario collettivo di più generazioni.

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Le chitarre e i chitarristi di Lucio

Lucio Battisti è stato di sicuro un bravo chitarrista e la maggior parte delle sue canzoni più famose nascevano grazie ai suoi fraseggi con un’acustica. La Eko, in varie versioni, la Ovation, ma soprattutto la Fender Shenandoah, da cui ha avuto origine Non è Francesca, e la Martin D-41, che vediamo nel video qui sotto durante l’esecuzione di Respirando, sono state le chitarre da lui più usate. 

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Il genio della musica leggera italiano era appassionato anche di sei corde elettriche, e durante gli anni ha posseduto parecchie Fender Stratocaster (agli inizi teneva una Fiesta Red) e pure una favolosa Gibson Les Paul Gold Top Deluxe del 1968, con magneti mini humbucker. Inoltre, nella sua collezione era presente una splendida Epiphone Casino, in precedenza di proprietà di Eric Clapton, scambiata in seguito con una Fender Telecaster dell’amico Ivan Graziani.

Gibson Les Paul Standard 50s GT

Gibson Les Paul Standard 50s GT

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Tuttavia, come visto con Phil Palmer, la produzione in studio prevedeva grandi virtuosi al suo fianco. Parliamo di artisti storici del calibro di Giorgio Benacchio, Andrea Sacchi, Massimo Luca, Franco Mussida, lo stesso Ivan Graziani, e star internazionali quali Ray Parker Jr., Laurence Juber (solista dei Wings), Paul Stacey e Spike Edney.

Tutti chitarristi eccezionali, tanti con una storia su Lucio da raccontare. Uno di loro, in particolare, ebbe un interscambio fruttuosissimo con questo gigante del pop italiano: Alberto Radius. “Crossroads”, la serie speciale e unica di Planet Guitar, è pronta a vivere una nuova, vibrante puntata, con l’Italia ancora nel cuore!

Stay tuned

To be continued…

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Alessandro Vailati