Show Me the Way nasce in un momento difficile per la vita artistica di Peter Frampton. Siamo poco prima di metà anni Settanta e il chitarrista inglese è in crisi, i suoi dischi vendono pochissimo. Tuttavia si sta lentamente costruendo la reputazione di grande performer e, seguendo la lezione dell’amico George Harrison, riesce a comporre una canzone che diventerà uno dei suoi più grandi successi. L’influenza dell’autore di While My Guitar Gently Weeps si è spesso fatta sentire, come vedremo, nella carriera di Frampton. Probabilmente, però, non sarebbe stata così forte e profonda senza quei leggendari incontri avvenuti agli inizi dell’esordio solista di “The Quiet One”. Ripercorriamo, per l’entusiasmante e sempre sorprendente serie “Crossroads”, questi magici momenti che hanno, parafrasando il celebre brano, “mostrato la strada” ad entrambi.

© Trinity Mirror / Mirrorpix – WENN Rights Ltd / Alamy Foto Stock

Da Ain’t That Cute a If Not for You. Le session per Doris Troy e All Things Must Pass

L’amore incondizionato per i Beatles e per George

“Non è carino?”

Iniziare una nuova puntata della rubrica con queste parole potrebbe far pensare a una svolta estetica. Che si voglia anche noi puntare alla bellezza fisica, all’immagine?

Effettivamente Peter Frampton nel corso della carriera si è potuto pure vantare dell’appellativo di “bello” del rock. C’è chi è arrivato a definirlo il Bon Jovi degli anni Settanta, ma, a parte la divertente digressione, non sarà questo l’argomento dell’articolo. Qui si fa riferimento semplicemente al titolo tradotto in italiano di una canzone importante (e in realtà dal significato sarcastico) per la storia, “Ain’t That Cute”. Durante una session per la bravissima soul singer Doris Troy, nella scuderia della Apple, casa discografica sotto l’egida dei Beatles e, in particolare di George Harrison, nasce il primo incrocio tra questi due giganti della chitarra.

Peter, a dir la verità, in quel momento sta ancora cercando la sua strada, anche se sta facendo bene con gli Humble Pie. Incontrare il suo idolo e registrare per l’etichetta degli adorati Fab Four è qualcosa di davvero enorme per lui, una tappa significativa nella sua vita artistica.

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Un album da riscoprire

Spesso il fato mette lo zampino nelle vicende riguardanti la Dea Musica. O forse proprio in quanto Dea, la Musica sa rendere magica la casualità. Frampton partecipa alla registrazione del singolo della Troy grazie all’amico Terry Doran, all’epoca assistente di Harrison. 

“Eravamo beatamente seduti al pub, in Wardour Street a Londra. Proprio dietro l’angolo ci sono i Trident Studios e Terry mi chiede ‘Vuoi venire a conoscere George?’. ‘George chi?’ Risposi tra lo stupefatto e l’imbarazzato”, racconta sorridendo Peter a Howard Stern in un’intervista del 2019. 

Ma le sorprese non sono finite. Harrison nei panni del produttore della canzone gli porge Lucy, la sua storica Gibson Les Paul rossa, e gli mostra gli accordi. Non volendo distinguersi e oltrepassare il suo idolo, Frampton inizialmente assume un ruolo di secondo piano nella jam, scegliendo di esibirsi in maniera molto pacata. George interrompe improvvisamente la sessione. “Io faccio la ritmica, tu la parte principale”, ed ecco come il Nostro si trova a suonare tutti i licks di Ain’t That Cute!

Non è comunque l’unico contributo in un album speciale, colmo di ospiti illustri, a cominciare da Eric Clapton e Ringo Starr per arrivare a Leon Russell e Stephen Stills. È di Frampton anche il secondo guitar solo di You Give Me Joy Joy, esuberante cavalcata a metà strada tra soul e r&b. Siamo nel Novembre ’69: il meglio della collaborazione tra i due deve però ancora arrivare…

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In sala d’incisione per All Things Must Pass

“Perché a vent’anni è tutto ancora intero

perché a vent’anni è tutto chi lo sa

a vent’anni si è stupidi davvero

quante balle si ha in testa a quell’età”

Forse ha ragione Francesco Guccini nella sua Eskimo, composta con una chitarra acustica, o folk come gli piace raccontare. A vent’anni tutto è più intenso, si vive ancora a colori prima di arrivare al bianco e nero della cosiddetta maturità. Si hanno in testa una marea di progetti, molti dei quali si riveleranno utopistici, ma se si riesce a tendervi con entusiasmo e fantasia, a stare in equilibrio sopra la follia, si può toccare il cielo con un dito. 

E Peter Frampton, in fondo, ha proprio solo vent’anni quando viene invitato in studio nella primavera del ’70 durante l’incisione del capolavoro solista dell’ex beatle, All Things Must Pass. Il ragazzo si ritrova faccia a faccia con uno dei suoi eroi di sempre, stavolta per dare il suo contributo in un’opera indimenticabile, di quelle che lasciano il segno per sempre, roba da raccontare fieri ai nipotini davanti a una tazza di tè e un bicchiere di whisky.

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Magic moments

Ho partecipato a cinque dei brani di base con i Badfinger, tutti suonando la chitarra acustica, compresi George e me”.

Estratto da intervista a Guitar World

Frampton non è mai finito nei credits del disco. All’inizio, probabilmente, per motivi contrattuali e successivamente per la difficoltà di George nel ricordare in quali tracce fosse presente, essendosi smarrite le schede dettagliate per ogni seduta in sala di incisione. Di sicuro partecipa alle canzoni nelle quali figura anche Pete Drake (un personaggio su cui torneremo nei prossimi paragrafi), ove si dispiega il lato più country folk del triplo LP. Stiamo parlando di If not for You, splendida ballata composta da Bob Dylan, e della meravigliosa, dolce e profonda Behind That Locked Door

Il momento clou di quella collaborazione giunge qualche settimana dopo, quando su consiglio di Phil Spector, il re del sound stratificato, George decide di inserire altre chitarre acustiche nei brani.

Questa volta eravamo solo io e George ad Abbey Road, lo stesso studio in cui i Beatles hanno fatto Sgt. Pepper. Guardavo attraverso il vetro e c’era Phil Spector. Eravamo seduti su degli sgabelli, e non so in quanti brani ho suonato perché continuavano ad aggiungere chitarre acustiche. La parte più divertente di tutta la faccenda è stata quando, tra una traccia e l’altra, cambiavano bobina, perché ovviamente era tutto analogico, e noi due iniziavamo a jammare. Ci buttavamo a capofitto su qualsiasi pezzo ci venisse in mente. È stato il momento più bello e divertente per me, indimenticabile”.

Estratto da intervista a reverb.com.

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Peter Frampton e George Harrison, un’amicizia sbocciata dopo tanta stima reciproca, alimentata da radici e passioni simili

L’uno alla ricerca di un virtuoso con cuore e feeling al suo servizio. L’altro pronto a carpire i segreti di produzione, songwriting, armonia e melodia. Tutti e due innamorati di Hank Marvin, Buddy Holly e Eddie Cochran.

L’incrocio tra Harrison e Frampton si rivela molto proficuo per entrambi. Il “Quiet Beatle” è un grande fan del chitarrista degli Humble Pie, adora il suo sound e lo sceglie per tinteggiare di nuovi colori le composizioni, sempre alla ricerca di quel guizzo che renda le proprie opere diverse dalla scena musicale contemporanea. Sonorità orientali, incantevoli intermezzi acustici in mezzo a riff uncinanti o slide sinuose tratteggiano liriche introspettive, con il desiderio di andare oltre e scavare dentro l’animo per trovare la vera felicità, il senso della vita. 

Peter, dal canto suo, non riesce ancora a credere di trovarsi di fronte all’autore di While My Guitar Gently Weeps, colui il quale per primo ha introdotto il sitar in una canzone pop, Norwegian Wood. Un’influenza importante, un’esperienza che, come vedremo, lascerà traccia in tutta la sua carriera.

Peter on stage nel 1976 © Keystone Press / Alamy Foto Stock

The Herd, gli Humble Pie e l’inizio dell’attività solista

Il 22 aprile 1950 Peter Frampton nasce a Beckenham, ridente cittadina a un passo da Londra. Figlio di un insegnante e direttore di un dipartimento d’arte, il giovane sviluppa subito una smisurata passione per la musica, folgorato da Cliff Richards e gli Shadows,  conquistato dai Beatles e Jimi Hendrix,e attirato dal virtuosismo di Django Reinhardt. A sedici anni è chitarrista principale e cantante del gruppo The Herd, e questa precoce notorietà lo conduce a formare gli Humble Pie con Steve Marriott. Le tinte rock della band svoltano sull’hard, introducendo il pubblico al genere heavy metal, e proprio alcune divergenze con l’altro leader sul percorso artistico da intraprendere sono il motivo della sua dipartita dalla formazione nel 1971.

Nel frattempo Frampton sta sviluppando importanti collaborazioni: se quella con Harrison è la più formativa, le partnership con Harry Nilsson (nelle sette tracce di Son of Schmilsson in cui figura ne abbiamo una, guarda caso, ancora con George!) e, in seguito, Jerry Lee Lewis ampliano i suoi orizzonti. Il 1972 scorre con la notizia del suo primo album solista, Wind of Change, al quale se ne aggiungono un altro paio di buon livello, tuttavia senza la panacea del riscontro commerciale. It’s a Plain Shame, la brillante cover di Jumpin’ Jack Flash e le graffianti Do You Feel Like We Do, Doobie Wah e I Wanna Go to the Sun sono la colonna sonora di questo frangente poco fortunato fino a Frampton (1975), il disco della prima svolta.

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Una perla indimenticabile, Show Me The Way, e la vera svolta con Frampton Comes Alive

Il “ritorno” di Harrison e Drake

La canzone più rappresentativa dell’album omonimo è certamente Show Me the Way. Le liriche sono in parte autobiografiche: il protagonista sta cercando una guida, qualcuno o qualcosa che sia in grado di indirizzarlo sulla strada giusta. Peter confeziona uno dei suoi capolavori ispirandosi a una ragazza che, in quei giorni di difficoltà affettiva e timori di non riuscire a sfondare, gli sta accanto, non facendogli mancare la propria stima e il proprio supporto. E seguendo la lezione dell’amico Harrison, riesce a strutturare un testo che dall’ambito “privato”, fotografia della sua triste situazione, assume una connotazione universale. Così “chi mostra la strada” può essere una persona qualsiasi, oppure, in un’accezione più ampia, anche un’entità superiore, come piaceva pensare all’ex beatle. 

Anche la parte prettamente musicale, la melodia e gli arrangiamenti, prendono forma influenzati dai pittoreschi fraseggi armonici di George. Non solo, quelle mitiche sessioni di All Things Must Pass lasciano in Frampton un’idea suggestiva. Memore di Pete Drake, ecco il colpo di genio che lascerà un’impronta indelebile nella storia della musica: utilizzare il talk box nel suo playing chitarristico.

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“Dove posso trovarne una?”, sono le prime parole di uno sbigottito Peter quando Drake fa ascoltare ai compagni di studio questo nuovo sound, creato con la “Chitarra d’acciaio parlante”, uno speciale distorsore collegato alla sei corde che permette di creare suoni vocali amplificati e distorti con la bocca. 

Show Me the Way e l’irresistibile Baby I Love Your Way, dal ritornello di facile presa, sono l’anticamera del successo internazionale conseguito un anno dopo, con un LP dal vivo che non ha bisogno di presentazioni, Frampton Comes Alive.

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L’album live più popolare mai pubblicato

Il 1975 è un anno epocale. Qualcosa si è risvegliato, qualcuno si è accorto di Peter Frampton, per merito delle hit e del disco sopracitati e grazie all’intensa attività dal vivo. Una nuova potenza e una magica atmosfera si carpiscono negli show live del Nostro. Una scaletta man mano completa e azzeccata per pathos e climax finale raggiunti, una manciata di brani allungati con virtuosismi chitarristici trasformano un semplice ragazzo dai lineamenti affascinanti in una rockstar. Frampton Comes Alive viene pubblicato l’anno successivo. In copertina c’è lui che suona Phenix, la mitica Gibson Les Paul Custom nera del 1954. Dentro al disco, invece, vi è una cascata d’energia, con una Do You Feel Like We Do da favola.

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Risulta difficile descrivere un lavoro così magico, bisogna solo acquistarlo e goderselo, come hanno fatto oltre sedici milioni di persone nel mondo, senza contare gli innumerevoli streaming tanto in voga in quest’ultima epoca liquida. Ovviamente la vita di un giovane che amava alla follia la musica e la sua chitarra cambia completamente con la fama e la ricchezza. Tuttavia mai è così difficile come quando si raggiunge la cima. 

Una vita rivoluzionata dal successo planetario e la difficoltà di ripetersi

Sulla scia dell’incredibile notorietà raggiunta vengono dati alle stampe I’m in You (1977), con ospiti del calibro di Stevie Wonder e Mick Jagger, e Where I Should Be (1979), che contiene la bellissima I Can’t Stand It No More, dal titolo quanto mai profetico. È arduo, infatti, sopportare il peso della celebrità: troppa pressione, troppi saliscendi e ostacoli inaspettati, come il flop di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, trasposizione cinematografica del musical Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band on the Road del 1974, e un terribile incidente d’auto alle Bahamas.

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La situazione contingente peggiora con l’avvento dei famigerati anni Ottanta, pronti a ricacciare in parte nel dimenticatoio il buon Peter. La difficoltà di adeguarsi ai tempi (e suoni) che cambiano, l’arroganza delle case discografiche e, forse, un calo d’ispirazione, rendono vacuo il decennio, di cui si ricorda solo Premonition (1986) e una bellissima collaborazione con il vecchio amico David Bowie.  Bisogna tuffarsi in Peter Frampton, dato alle stampe nel 1994, al fine di ritrovare un po’ di vigore, per merito anche di un brano insolito e affascinante, Out of the Blue, scritto e interpretato con il vecchio compagno Steve Marriott. Frampton Comes Alive II (1995) è invece il mal riuscito tentativo di recuperare i bei tempi andati. Ad ogni modo l’autore di Show Me the Way ha ancora parecchie frecce nel suo arco per iniziare al meglio il nuovo secolo…

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Da Now a Frampton Forgets the Words, fino agli ultimi, bellissimi progetti 

Now (2003) prosegue il ricongiungimento con il fidato Bob Mayo e include un’intensa rilettura di While My Guitar Gently Weeps. I vecchi amori non si scordano mai e la canzone assume un valore emotivo incommensurabile dopo la scomparsa del suo autore, avvenuta il 29 novembre 2001. Libero da ogni ansia commerciale e ormai consapevole dello status di guitar hero senza dover per forza dimostrarlo ogni volta, Frampton realizza poi l’interessante strumentale Fingerprints (2006), che vanta succulente collaborazioni con Warren Haynes e Mike McCready, e continua l’attività in studio e live con pubblicazioni di gran livello, su tutti All Blues (2019) e il sorprendente Frampton Forgets the Words (2021). In quest’ultimo abbandona di nuovo il canto per concentrarsi completamente su arrangiamenti, armonie e fraseggi.

Isn’t It a Pity è la gemma ancora una volta dedicata a “The Quiet Beatle”. E per chiudere in bellezza, dando continua linfa al meraviglioso incrocio da cui è nato l’articolo, una delle più toccanti canzoni recentemente composte, I Saved a Bird Today (2017), risulta chiaramente influenzata da lui. “Non dimenticherò mai chi mi ha aiutato” è la frase commovente e sincera che suggella un’amicizia speciale. Quando la musica e la chitarra sono esperienza di vita superiore!

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Chitarre speciali e chitarristi formidabili: un paradiso nel mondo di Peter

La chitarra come salvezza, medicina, iniezione di vita. Nonostante la terribile diagnosi di miosite da corpi di inclusione (IBM), annunciata nel 2019, Peter Frampton è ancora in attività e in tour.

Oltre a essere tornato in scena nel 2022, con un trionfale concerto alla Royal Albert Hall di Londra, Peter ha recentemente concluso una serie di show del suo Never EVER Say Never Tour. Inoltre, ha annunciato la sua comparsa come ospite in due brani del nuovo disco di Dolly Parton, figura nel bellissimo progetto Guitar Heroes di Mark Knopfler ed è fresco di induzione alla Rock & Roll Hall of Fame (finalmente!).

Come abbiamo visto, la chitarra in ogni sua forma – dall’adorata e ritrovata Phenix e i suoi duplicati alla Gretsch Duo Jet, fino alla Martin D-42 acustica – ha caratterizzato la sua arte. Risulta veramente impressionante la sua collezione di sei corde ed è d’uopo ricordare anche la sua “rivoluzione” grazie al talk box, per cui ha ideato un suo modello signature Framptone.

Gibson Les Paul Custom Peter Frampton

Gibson Les Paul Custom Peter Frampton

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Harley Benton Talk Box

Harley Benton Talk Box

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Un amore incondizionato, che negli anni lo ha portato a condividere il palco e lo studio con tantissimi virtuosi dello strumento. 

Considerando solo il 2013, anno in cui si è esibito in tutto il Nord America nell’ambito del tour “Frampton’s Guitar Circus”, Peter ha avuto come ospiti o opening act  B.B. King, Robert Cray, Don Felder, Rick Derringer, Kenny Wayne Shepherd, Steve Lukather, Sonny Landreth, Davy Knowles, David Hidalgo, Mike McCready, Roger McGuinn e Vinnie Moore. Memorabile poi il duetto con Eric Clapton nel 2019 per il Crossroads Guitar Festival. C’è infine un altro artista che ha toccato le corde del suo cuore, facendo sorgere un’intrigante partnership e una splendida affinità elettiva: Randy Bachman. Una nuova puntata di “Crossroads”, la serie unica e speciale che trovate solo su Planet Guitar, sta prendendo forma!

Stay tuned

To be continued…

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Alessandro Vailati