A volte la bellezza più grande si trova nel trasformare con tanto sacrificio una passione in qualcosa di più profondo e intenso, nel donare la propria arte a tutto l’universo che ci circonda. Si chiama vocazione, e supera qualsiasi discorso materiale: per Sheryl Crow e Gary Clark Jr., dopo una lunga gavetta, arriva la consacrazione grazie alla loro musica dannatamente sofferta, a un moderno songwriting fatto di chitarre incandescenti, pronte a emettere lacrime e sangue, simbolo di ribellione e vita vera. Con la rubrica “Crossroads” andiamo a ripercorrere i loro incontri, incarnazione di una incredibile sintonia, soffermandoci in seguito sulle fasi salienti della carriera della “regina del Missouri”.
Dai Jackson 5 a Chuck D
Tra Sheryl e Gary c’è di mezzo…Doyle!
“Cosa vuoi fare da grande?”
O meglio, citando lo scrittore Alessandro D’Avenia, “che cosa vuoi fare di grande?”
Sono domande che si sono sicuramente posti Sheryl Crow e Gary Clark Jr. nella loro infanzia, lontani e diversi per cultura ed etnia, ma legati fin dall’inizio dalla musica, dall’arte di comporre e di creare un linguaggio universale di speranza e ricrescita.
La “regina del Missouri” e lo sgangherato, ma illuminato chitarrista texano si approcciano alle sette note già da bambini, mostrando le loro doti e segnando la via per quello che faranno da grandi. E faranno davvero qualcosa di grande: pur percorrendo sentieri diversi, si incontreranno sulla sconfinata highway del rock, all’incrocio fatale con blues e country.
Il primo amore, e così anche le prime canzoni non si scordano mai. Quella passione per la Gibson ES-335 rossa imbracciata da Tito Jackson, Gary la porta sempre nel cuore, così come Sheryl proprio grazie a Michael Jackson si butta a capofitto nella carriera di cantante. Sogni nati di notte, tra un pensiero appannato, il sonno estenuante. Sogni che si concretizzano dopo tanto sacrificio e devozione, rendendoli famosi e adorati.
Si parlava di chitarristi, canzoni, gruppi e artisti venerati dal duo Crow/Clark. E, guarda caso, il primo contatto tra i protagonisti di questa frizzante puntata avviene per merito di un grande talentuoso della sei corde, l’amico comune Doyle Bramhall II, e del gruppo simbolo della loro gioventù, i Jackson 5. Corsi e ricorsi della storia!
Una storia di musica, bellezza e sentimenti, ma anche lacrime, sudore e sangue…
Gibson ES-335 Dot 60s Cherry
In studio e dal vivo: quante brillanti collaborazioni!
Il 2010 vede così la prima liaison tra Sheryl e Gary in occasione del (troppo) sottovalutato 100 Miles from Memphis, album prodotto da Doyle Bramhall II in cui la songwriter americana si riaffaccia con una tiepida malinconia all’epoca dei mostri sacri del soul. Echi di Wilson Pickett, Isaac Hayes e Sam & Dave rimbombano negli azzeccati arrangiamenti vintage.
Il disco scorre leggiadro con empatia travolgente e charme senza tempo: chitarre pungenti e tastiere sinuose incarnano il ritmo dell’eleganza e la bonus track finale è la ciliegina sulla torta: eccoci dunque alla strepitosa rilettura di I Want You Back, con Clark pregiato ospite.
Tra i due artisti scocca una scintilla. Da quel momento non perdono occasione di frequentarsi e collaborare, sempre con emozione e commozione, con un fuoco dentro che porta a performance di grande respiro. Ne è fulgido esempio l’accorata rilettura di un classico di Elizabeth Cotten, Freight Train, in occasione, nel 2014, del quarantennale di Austin City Limits, epica trasmissione televisiva dedicata interamente alla musica live e ai suoi interpreti leggendari.
Passa appena un anno e, nel corso del Bridge School Benefit di Neil Young giunge il momento di un nuovo incontro a sorpresa, durante una sensuale I Shall Believe, ove il piano della cantautrice si intreccia con il superbo playing acustico del ragazzo di Austin. Il 2017 segna il ritorno al rock per la Crow con Be Myself, ancora un’opportunità per confrontarsi con Clark e la sua straordinaria tecnica chitarristica.
L’importanza del Crossroads Guitar Festival
Eric Clapton meriterebbe un monumento anche se nella sua vita avesse solo organizzato il Crossroads Guitar Festival, un evento straordinario nel quale una pletora di chitarristi si sono incrociati. Una kermesse arrivata alla sesta edizione ufficiale, ogni volta con quella parola magica, “Crossroads”, a sottolineare le collaborazioni e le nuove amicizie artistiche nate sul palco. Sheryl e soprattutto Gary devono tantissimo alla manifestazione che ha scavalcato i confini del blues per scollinare in quasi tutti generi e sottogeneri e, fra le tante, ha regalato una straordinaria versione live di Long Road Home, ennesima conferma delle affinità elettive tra i protagonisti di questa puntata.
Quel gioiellino di Threads con una partnership inaspettata, Chuck D
“That’s the story of everything
You can live, you can die
But I know we gotta try to get along (get along)
Living, dying, lying, denial”
Riconoscenza, tradizione e collaborazione.
Ascoltare Threads è un po’ come camminare tra le pagine di un vecchio libro, un viaggio attraverso un paesaggio abitato da amici conosciuti che ti prendono per mano e ti portano con le loro esperienze verso nuovi territori.
Affiorano eroi musicali del calibro di Willie Nelson, Kris Kristofferson e Johnny Cash, compagni d’avventure come Clapton, Sting, Keith Richards e James Taylor, e spiriti affini con il gusto per la sperimentazione, tra i quali St. Vincent, Jason Isbell e Chuck D. E chi si poteva unire a quest’ultimo in un brano il cui testo riguarda i problemi razziali che ancora dividono gli Stati Uniti?
Eccoci tornare al nostro Gary che, insieme anche all’importante contributo di Andra Day, infiamma le trame sonore di Story of Everything, una canzone con una storia molto importante da raccontare, ossia, lo spiega già il titolo, “la storia di tutto”.
La musica come collante
Gary e Sheryl sono una gran bella coppia artisticamente parlando, non ci sono dubbi. E d’altronde questa profonda sintonia si poteva già intuire esaminando i personaggi che li hanno maggiormente influenzati. Sono in effetti tanti quelli in comune, dai grandi nomi Rolling Stones e Beatles a maestri della black music del livello di Curtis Mayfield, Otis Redding, per poi virare ai giganti del blues elettrico come Buddy Guy e B.B. King.
Entrambi validi polistrumentisti, hanno trovato nella chitarra una compagna importante per eccellere nel songwriting. Clark è poi diventato un virtuoso di Epiphone, Gibson e Fender, marchi particolarmente apprezzati pure dalla Crow, incisiva anche nel suonare basso e tastiere, oltre che essere una formidabile rock singer, capace di dare un’impronta soul gospel alle sue tonalità. Ecco quindi fra gli eroi comuni affiorare eccellenti vocalist: Ray Charles e Mavis Staples, senza dimenticare Marvin Gaye e Stevie Wonder.
Sheryl e Gary, due splendidi personaggi circondati da dischi e strumenti già da bambini, con la prima alquanto ispirata nel comporre canzoni già a partire dalla sua adolescenza inquieta. Andiamo ora a scoprire meglio le avventure vissute nel mondo dello spettacolo dalla “regina del Missouri”, nata nella ridente Kennett, a pochi chilometri dal Mississippi e, come ci ha raccontato in uno dei suoi dischi analizzati, “a cento miglia da Memphis”.
La carriera di una vera regina del rock
Gli inizi e le prime soddisfazioni
Avere papà trombettista jazz, mamma cantante e pianista fa da volano al lancio nello showbiz di una bambina prodigio, classe 1962, già estrosa con le tastiere e la chitarra all’inizio delle scuole elementari.
Gli anni Ottanta la vedono subito protagonista, esperta dal punto di vista compositivo e con una laurea conseguita a Columbia in musica e canto. Dopo le prime esperienze come insegnante, seguono le incursioni nel mondo dei jingle pubblicitari e il trasferimento per cercare fortuna a Los Angeles, la terra dalle mille risorse, ove prosegue a suonare nei club e stringe amicizie con artisti locali.
E proprio nella città degli angeli, con tenacia e devozione, Sheryl Crow supera momenti difficili e si libera di impieghi umili per centrare il suo primo obiettivo, vivere di musica.
Michael Jackson la scopre e la ingaggia per il suo Bad World Tour (87-89) e, dopo altre altalenanti vicissitudini e la sopportazione di alcuni soprusi, si realizza il sogno di pubblicare un disco (e che disco!) solista nel 1993.
La svolta di Tuesday Night Music Club
Tuesday Night Music Club è un album ancora profondamente attuale, con brani di culto come Can’t Cry Anymore e Strong Enough. Testimonia la nostra epoca, i conflitti, le differenze, i suoni del mondo, le speranze. Nasce dopo un periodo frastagliato per la Crow, ancora in bilico tra un’onesta carriera di backup singer con il vizio di comporre canzoni e la possibilità di diventare una rockstar.
La meritata visibilità e l’inizio del successo arrivano però ampiamente solo nel 1994, quando la cantante apre i concerti del tour della reunion degli Eagles, si esibisce sul palco del famigerato Woodstock II e, soprattutto, quando, ben quattordici mesi dopo l’uscita del lavoro, pubblica il singolo All I Wanna Do, che raggiunge il secondo posto nelle classifiche statunitensi.
All I Wanna Do è il brano manifesto e diventa la sua hit di maggior successo. È una canzone molto orecchiabile, la cui melodia volatile maschera il sapore amaro di liriche tristissime. Parla di qualcuno senza soldi, seduto in un bar a guardare la propria vita che scorre, senza sapere che fare, senza avere i mezzi per poter fare alcunché. Era una parte nella quale l’allora trentenne musicista poteva calarsi agevolmente, ancora piena di dubbi e di paure.
Ora la nostra Sheryl tocca il cielo con un dito, e, nel 1996, con maggior sicurezza e sfrontatezza, pubblica la sua omonima seconda opera, e si cimenta nel suonare un po’ tutti gli strumenti, da organo, piano e Wurlitzer al basso, fino alle amate chitarre, acustiche, elettriche e slide.
Il Pavarotti and Friends, la consacrazione anche in Italia e… una storia con Eric Clapton?
Il riscontro è ormai internazionale. La Crow performa al Pavarotti & Friends for war child con il padrone di casa in Là ci darem la mano e insieme a Eric Clapton sulle note di Run Baby Run, pezzo che gode di particolare visibilità proprio in Italia grazie all’abbinamento con un riuscito spot pubblicitario. La forza del destino, per un’autrice dedicatasi ai jingle fin dagli esordi!
Torniamo a Slowhand: si vocifera anche di un coinvolgimento sentimentale tra i due. Comunque sia, Sheryl stabilisce una fruttuosa collaborazione, sono continui gli scambi artistici sul palcoscenico e nel 1999 viene addirittura pubblicato il bellissimo Sheryl Crow and friends: live from Central Park, ove il guitar hero figura tra gli ospiti insieme a Keith Richards, Chrissie Hynde, Stevie Nicks e Sarah McLachlan.
White Room è il fiore all’occhiello del disco, e vede utilizzare dalla coppia due chitarre importanti, la Fender Stratocaster Black e la Gibson Les Paul Standard. Brividi!
Fender Player II Strat MN BLK
Gibson Les Paul Standard 60s IT
Gli ultimi anni, sempre sul pezzo, sempre in gran forma
Il successo della cantautrice continua nel nuovo secolo con C’mon C’mon (2002) e la ridente hit Soak Up the Sun, luminosa e leggera come un soffio estivo. Meritano una citazione (oltre agli album già trattati nella sezione con Gary Clark Jr.), Wildflower (2005), Feels Like Home (2014) e il recente Evolution, nel quale è presente un featuring prestigioso di Peter Gabriel.
L’attività live è costantemente un riferimento per un’artista in pratica nata on stage, in perenne oscillazione tra piccoli club e bar fumosi. Ed è ben rappresentata con Live At The Capitol Theatre – 2017 Be Myself Tour e soprattutto Live From The Ryman And More (2019), un libro di memorie che fotografa l’intera gamma dell’impressionante songwriting e dell’impeccabile musicalità di una delle più influenti artiste del rock al femminile degli ultimi trent’anni.
Gli incontri memorabili e le chitarre della Crow
La musica come rifugio
Tra alti e bassi, Sheryl Crow ha attraversato le asperità della propria esistenza (la malattia, la burrascosa relazione con Lance Armstrong) con dignità e coraggio, le stesse doti con cui ha dato vita a una carriera artistica straordinaria, figlia di un’apprezzabile e rigorosa coerenza.
La musica è sempre stata la sua ancora di salvezza, anche nei momenti più difficili, e parecchi sono gli “attimi” da ricordare, i crocevia con personaggi arricchenti. Ne abbiamo già incontrati tanti, nel corso dell’articolo, a cui vanno aggiunti i collaboratori Jeff Trott e Steve Jordan, eccezionali talentuosi e illuminati produttori, e le stelle John Mayer, Bonnie Raitt, Sting e Vince Gill.
Le chitarre (e non solo) della Crow
Elettriche e acustiche, sono numerose le chitarre usate da Sheryl Crow nel suo magico trentennio. Pur non essendo una virtuosa nel senso stretto del termine, le sei corde fanno parte del suo curriculum sia in studio, sia dal vivo e spesso ha composto canzoni utilizzando accordi e fraseggi creati sulle sue amate Gibson, Fender e Epiphone.
Rientrano tra quelle memorabili l’epica Gibson Country Western, dalla quale nasce la sua signature, le Les Paul Standard e Special, la Fender Telecaster ’62 Custom e l’Epiphone Casino.
L’artista americana è inoltre una brava pianista e spesso nelle performance live si cimenta al basso. A tal riguardo i suoi preferiti sono il Guild M85 II, l’Epiphone Embassy, il Gibson EB-3 e il Kay K5965.
Epiphone Embassy Bass Graphite Black
E a proposito di Gibson e Fender, c’è un altro Guitar God che ha incrociato la strada con l’affascinante e bravissima Sheryl: Joe Walsh.
“Crossroads”, la serie unica e speciale di Planet Guitar, si prepara ad un’altra entusiasmante puntata!
Stay tuned
To be continued…
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